giovedì 13 ottobre 2011
Alberto SUGHI, solitudine e ideologia
Alberto Sughi nasce a Cesena il 5 ottobre 1928. Proviene da studi classici; artisticamente ha una formazione autodidatta: riceve i primi rudimenti dallo zio pittore e disegna con passione.
Egli stesso racconta: "Il mio incontro con l'arte è stato senza dubbio favorito dalla presenza di uno zio pittore e dalla passione di mia madre che, con intelligenza, ha stimolato la mia inclinazione per il disegno. Posso quindi convenire di avere seguito una strada che proprio in famiglia mi è stata suggerita; ho cominciato a disegnare all'età di sei anni e non ho più smesso".
I dipinti dei primi anni '40, sebbene non privi d'interesse, appaiono solo un'anticipazione di quanto l'artista realizza a partire dal decennio successivo. Ampiamente padrone del proprio linguaggio pittorico, dipinge con lucida obiettività, frammista a punte di espressionistica resa formale, opere ispirate alla vita metropolitana.
Si rivela al pubblico in una collettiva tenutasi al 1946 nella sua città. Nel medesimo anno soggiorna brevemente a Torino (lavora come illustratore per la Gazzetta del Popolo).
Alberto Sughi visita nel 1948 la Biennale di Venezia e resta fortemente impressionato da una natura morta di Fougeron. Egli stesso nel 1954 scrive: "Ne parlammo appassionatamente. Non ci sfuggiva che Fougeron si proponeva di guardare con veemenza in faccia alla realtà".
Nel 1948 Sughi si trasferisce a Roma dove vi rimane fino al 1951. Qui conosce diversi artisti fra cui Marcello Muccini e Renzo Vespignani che fanno parte del "Gruppo di Portonaccio". Questo incontro risulterà fondamentale sia dal punto di vista umano che artistico.
Ritorna a Cesena nel 1951. Il periodo successivo (fino al 1956) segna il passaggio da un "realismo sociale" ad uno "esistenziale".
A certa critica che considera la sua pittura di quegli anni e di quelli subito successivi come angosciante Alberto Sughi risponderà: "Fin dalle prime personali tenute a Roma, negli anni '50, feci una curiosa scoperta: sembrava d'obbligo, a proposito del mio lavoro, parlare di tristezza e di solitudine; basti ricordare qualche articolo di giornale... Ma io non ho mai adoperato un colore grigio per sembrare più triste od uno più rosa per alludere alla speranza. Quando si dipinge, la mente e la mano procedono con altra determinazione e fermezza. Il fine della pittura non è quello di commuovere, ma piuttosto quello di rappresentare".
In quegli anni si continua a parlare di Sughi soppratttuo dentro il contesto dominante del realismo come per esempio fa Antonello Trombadori che accosta quello di Alberto Sughi a quello di Edward Hopper.
E nel 1963 assieme al tema del realismo emerge quello della pittura sociale come si legge nell'introduzione che Giorgio Bassani fa ad una mostra collettiva alla Galleria Gian Ferrari di Milano di cui, oltre a Sughi, fecero parte Banchieri, Ferroni Giannini e Luporini:
"Tutti insieme si ritrovano a dire di no alla pittura del Novecento italiano fra le due guerre: al suo lirismo, alla sua purezza, alla sua esemplarità emblematica: puntando per converso sul contenuto, sui valori ieri così spregiati del 'racconto', dell'illustrazione'. È dunque una pittura sociale, la loro? Anche. È comunque una pittura che chiede la diretta partecipazione emotiva e psicologica dell'astante, e non, come quelle di Morandi, Carrà e Rosai, la pura delibazione estetica: necessariamente un po' teatrale, perciò, nella ricerca degli effetti illusivi, dei trucchi, delle apparizioni, dei colpi di scena... E Sughi, infine: venuto su alla pittura a Roma, tra Vespignani e Muccini, e cresciuto poi in Romagna, nella natia Cesena. Anch'egli, come gli altri, si è opposto fin dal principio della sua attività alle sublimi poetiche novecentesche: e lo ricordiamo, dieci anni fa, immerso fino al collo nella cronaca nera del neorealismo postbellico. Più tardi ha sentito evidentemente il bisogno di decantare i propri contenuti, di fare bello e grande anche lui. Ed eccolo, infatti, in questi suoi ultimi quadri, risalito alle fonti più vere del proprio realismo: a Degas, a Lautrec: classicamente maturo, ormai, per accogliere e far sua perfino la lezione di Bacon, tenebroso stregone nordico...".
Agl'inizi degli anni '70 Alberto Sughi lascia lo studio nella Rocca Malatestiana di Cesena, e si trasferisce nella casa di campagna di Carpineta, nelle verdi colline della Romagna.
E' in questo periodo che inizia a lavorare all'importante ciclo La cena. Si tratta di una evidente metafora della società borghese in cui si ritrova un certo 'realismo' tedesco alla Grosz e alla Dix, avvolto da un'atmosfera quasi metafisica che isola ogni personaggio congelandolo all'interno della scena. Sembra proprio trattarsi di "un'ultima cena" come scrive G. Amendola, di un congedo immaginario della borghesia dell'Italia del miracolo economico.
Sono questi gli anni in cui Sughi partecipa attivamente (ma forse anche per l'ultima volta), e lo fa come consigliere comunale, alla vita politica.
Le nuove opere vengono esposte per la prima volta nel 1976 alla Galleria La Gradiva di Firenze e saranno pubblicate in un volume degli Editori Riuniti con introduzione di G. Amendola e testi dello stesso Sughi e di Raimondi.
Ettore Scola sceglie come manifesto del suo film "La terrazza" uno dei dipinti della Cena e Mario Monicelli si ispira alle atmosfere ed ai colori di Sughi per "Un borghese piccolo piccolo", come egli stesso rivela in una intervista a Gian Luigi Rondi su "Il Tempo" (dicembre 1976): "Con Vulpiani, il direttore della fotografia, ci siamo orientati su Alberto Sughi. E su Edward Munch. Una Roma molto grigia che si perde, con delle luci che via via vanno smorzandosi, con dei contorni sempre meno visibili...". Nel 1978 La cena viene presentata a Mosca alla Galleria del Maneggio.
Nel 1980 Sughi lavora ad un altro importante ciclo narrativo "Immaginazione e memoria della famiglia".
Con il grande trittico "Teatro d'Italia", dipinto tra il 1983 e 1984 l'occhio di Sughi si ferma un'altra volta sulla società. Teatro d'Italia è infatti una grande allegoria sociale che come dice lo stesso artista "..presenta o, se si vuole, elenca i personaggi della nostra 'commedia', non va oltre; ma attraverso la suggestione della forma consente di riflettere, ognuno come crede, su uno stato delle cose, del nostro tempo, della nostra esistenza".
Nel febbraio del 1993 il Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi, nomina Alberto Sughi presidente dell'Ente Autonomo Esposizione Nazionale Quadriennale d'Arte di Roma. Ma nel gennaio dell'anno successivo, non ravvisando la possibilità di operare fruttuosamente e infondo ascoltando del tutto quel suo spirito tendenzialmente anarchico e profondamente ribelle che gli avvistò per primo Valentino Martinelli, Sughi si dimette dall'incarico.
Nel 1996 dipinge "Indizi e frammenti" venti opere con le quali Sughi si "riconnette ai luoghi della urbana solitudine" per usare le parole di Antonio Del Guercio, o se si vuole alla "solitudine pubblica" come la chiama Giorgio Soavi. Il ciclo "Indizi e frammenti" del 1996 è per qualche verso un'anticipazione di "Notturno" l'ultimo dei cicli che Sughi ha dipinto nel '900.
Per quanto l'oggetto dei quadri di Sughi sembri cambiare e sia cambiato continuamente, non cambiano invece l'interesse e le motivazioni più profonde che legano Alberto Sughi alla pittura e che lo stesso ribadiva una volta di più in una intervista del 2003 di Luigi Vaccari a Vittorio Sgarbi e Alberto Sughi intitolata sui destini della pittura: "A me interessa misurare la mia pittura con certi personaggi, atmosfere, ambienti. Quando dipingo non mando messaggi e non dò giudizi. La pittura mostra, non argomenta. Quando dipingo, non penso di creare un capolavoro: lavoro ad un quadro che aggiusto e riprendo e modifico, seguendo un percorso che non ha alcun riferimento con una ragione pratica. è proprio questa mancanza assoluta che mi fa realizzare un dipinto che può far riflettere anche chi lo guarda. E sono convinto che il lavoro del pittore non finisca col suo quadro: finisca negli occhi di chi lo guarda. Se non ci fosse la possibilità di reinventarlo, di adoperare per noi stessi l'esperienza che il pittore fa sulla tela, allora si, la pittura muore".
Nel 2000 Sughi riceve il premio Michelangelo, Pittura, Roma.
L'interesse per Sughi e il suo lavoro è rimasto sempre e rimane oggigiorno, vivo ed alto non solo in Italia ma anche all'estero ed oltre Oceano. Sughi ha infatti partecipato a tutte le grandi mostre che hanno proposto all'estero la vicenda dell'arte italiana.
Recentemente (ottobre 2004) la website australiana Artquotes.net, gli dedica lo spazio riservato all'artista del mese; mentre il suo dipinto "La Sete" fa da copertina al numero 54, 2004/5, della rivista di poesia Americana Westbranch, rivista biennale pubblicata dalla Bucknell University in Pensylvania.
Nel Maggio 2005 NYartsmagazine.com ha dedicato all'artista un'intera pagina dal titolo "Ideologia e Solitudine" e al presente Alberto Sughi scrive per Absolutearts.com, la grande directory d'arte del Columbus nell'Ohio, il suo blog/diario in rete, mensile, occupandosi prevalentemente del tema artista e società.
Il 28 novembre dello stesso anno il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha consegnato ad Alberto Sughi il prestigioso premio De Sica, destinato a personalità di rilievo nel campo delle arti, della cultura e delle scienze.
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