martedì 29 settembre 2009

Frank Lloyd WRIGHT

A cinquant' anni dall' inaugurazione del suo capolavoro, due libri ribaltano l' immagine dell' architetto americano, svelandone aspetti nascosti Il genio oscuro di Lloyd Wright Narciso, schiavista, erotomane: ritratto inedito dell' autore del Guggenheim Che cosa rende un uomo irresistibile alle donne? La sua passione e, se è un artista, il talento che lo rende inafferrabile e, se è un intellettuale, il sex appeal del suo cervello. Tutti elementi presenti in quantità nella personalità di un genio dell' architettura come Frank Lloyd Wright, le cui qualità narcisistiche, erotiche e visionarie sono oggi celebrate negli Stati Uniti da due romanzi e da una grande retrospettiva al Guggenheim Museum di New York, che festeggia il cinquantenario dell' inaugurazione avvenuta nell' ottobre del 1959 alla presenza di un direttore ostile, in una New York stupefatta e davanti a una stampa orripilata. Allora, il critico del «New York Times» John Canaday definì il pioniere di tutti i musei artistici a venire l' espressione di «una guerra tra l' architettura e la pittura da cui entrambe le discipline escono gravemente mutilate». Come in tutte le leggende che si rispettino, il protagonista di quella memorabile giornata mancò l' appuntamento. Lloyd Wright era morto sei mesi prima a novantun anni. Frank Lloyd Wright ha scritto di se stesso: «Nella vita ho dovuto scegliere presto tra l' arroganza sincera e l' umiltà ipocrita; ho scelto l' arroganza». E non a caso uno scrittore brillante e sarcastico come Thomas Coraghessan Boyle, che ha romanzato la vita del sessuologo Ken Kesey e quella dell' inventore dei corn flakes John Harvey Kellogg, ha identificato in Wright l' interprete ideale di una storia sul lato in ombra del Sogno Americano. Il che spiega il taglio che Boyle ha voluto dare al romanzo che uscirà da Einaudi quest' autunno col titolo Le donne: non l' avventura intellettuale dell' architetto che ha sfidato la forza dell' acqua con la Casa sulla cascata a Bear Run in Pennsylvania, ma il groviglio di amori, odii, vessazioni, tradimenti, gesti grandiosi e meschini di un uomo che ha vissuto lo sterminato arco di tempo compreso tra la fine della Guerra civile americana e l' inizio dell' era spaziale. Un uomo fedele al principio di non permettere a niente e a nessuno di ostacolare il proprio successo. «Wright aveva la classica personalità narcisistica» ha detto Boyle in un' intervista. «Era il tipo di persona a cui non interessa quello che vogliono gli altri, o chi siano, e non riesce nemmeno a immaginare che possano avere emozioni e desideri propri. Gli altri per lui esistevano soltanto come mezzi per soddisfare le proprie necessità». Gli altri, qui, sarebbero i clienti soddisfatti o traditi, i creditori non pagati, le donne amate e gli assistenti schiavizzati come Tadashi Sato, la voce narrante del romanzo, un giovane giapponese che nel 1932 inizia un apprendistato col maestro a Taliesin (la grande casa che Wright aveva costruito per sé nel Wisconsin) e diventa il suo schiavo. Sato racconta a ritroso la storia degli amori del suo maestro sorvolando sul ruolo della prima moglie Kitty Tobin che, pure avendogli dato sei figli, rimane una figura opaca, indifferente anche al pubblico fino al momento in cui fu sostituita dalla moglie femminista di un cliente di Wright, Mamah Cheney, che nel 1903 divenne la sua amante con tale scandalo da indurre l' architetto a costruire Taliesin per tenerla lontana dagli sguardi dei curiosi. Undici anni dopo, mentre Wright era assente per lavoro, Mamah Cheney veniva uccisa a colpi di accetta insieme con due dei suoi figli e altre quattro persone da un domestico impazzito che dopo la strage diede fuoco alla casa. Il perché non è mai stato chiarito. L' ipotesi di Boyle è che la donna abbia cercato di educare il domestico al femminismo e al libero amore e, avendo scoperto che picchiava la moglie, lo abbia licenziato provocandone il furore. Quali che siano stati i veri motivi della strage, la stampa scandalistica ci andò a nozze. Ispirando una sconosciuta di nome Maude Miriam Noel a scrivere lettere a Wright in cui gli offriva la sua consolazione. Lui ci cascò. Maude era una primadonna e una pazza e, tra le altre cose, una morfinomane. Si trasferì a Taliesin nel 1914 e sposò Wright nel 1922. Dopodiché lo lasciò. Ma quando lui s' innamorò della danzatrice montenegrina Ogilvanna Lazovich Milanoff, diventò la loro persecutrice. Gli attacchi e le incursioni di Maude arrivavano all' improvviso: «E di nuovo Wright e Ogilvanna dovevano fuggire da Taliesin così precipitosamente da lasciare i letti sfatti e i vestiti sul pavimento e la colazione sul tavolo da pranzo ad attirare le mosche, mentre il giardino veniva abbandonato ai corvi e a orde di insetti pulsanti con le loro mandibole instancabili e le loro bocche infinite». E se questo vi pare materiale da melodramma, nulla è in confronto allo scenario in cui si svolge il secondo romanzo ispirato a Wright in questi giorni, in cui l' ottuagenaria primadonna di New York Gloria Vanderbilt, non paga di avere amato o sposato grandi uomini come Marlon Brando, Frank Sinatra e Howard Hugues, si è dilettata a scrivere una Histoire d' O alla maniera di Pauline Reage intitolata Obsession. Nel suo romanzo, la vedova di un grande architetto del tutto somigliante a Wright scopre dopo la morte del marito un pacchetto di lettere di un' amante misteriosa che racconta di fruste, attrezzi erotici, corde di seta, copricapezzoli d' oro e di una casa di piacere a Brooklyn dove si svolgono orge furiose. Di fronte a tutto questo, che qualcuno oggi ricordi come cinquant' anni fa l' allora direttore del Guggenheim James Johnson Sweeney abbia litigato con Wright su ogni singolo dettaglio del suo progetto museale incluso il colore della pareti (Wright le voleva avorio, Sweeney bianche), non scandalizza nessuno. Con buona pace delle sue donne, ci si chiede piuttosto come Wright abbia trovato il tempo di lavorare in mezzo al fuoco incrociato di tante passioni. Per non parlare della lucidità di mente di immaginare un museo, non come una spirale, come siamo abituati a sentirlo descrivere, ma nelle sua visione assai più precisa e poetica, come «la curva di un' onda che non frange mai». Manera Livia Pagina 39 (25 agosto 2009) - Corriere della Sera
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