mercoledì 27 gennaio 2010

Luigi SCHINGO, pittore scultore ed architetto, 1891-1976











Discorso commemorativo, tenuto dal Rettore della Università di Bari, prof. Pasquale Del Prete, in ricordo dell’Artista Luigi Schingo, il giorno 15 0ttobre 1977 nell’Auditorium della Biblioteca provinciale di Foggia: "Un anno fa moriva nella modesta sua casa di San Severo Luigi Schingo; il suo nome aveva avuto un'improvvisa e larga notorietà per tre tele da lui sottoposte nel 1913 al severo vaglio per l'ammissione alla Mostra internazionale di pittura ordinata in quell'anno a Firenze. Con quei tre stupendi ritratti, il giovane artista era entrato nella elite della generazione che, tra la fine del secolo scorso e la metà di questo secolo, ha dato nelle arti, alla terra dauna, l’alto decoro di Umberto Giordano e di Carlo Maria Giulini nella musica, di Umberto Fraccacreta e di Pasquale Soccio, nella poesia e nella letteratura, di Alfredo Petrucci e Francesco Gabriele nella critica estetica. Dalle tre opere che lo legavano ai ricordi profondi della sua giovinezza Schingo non aveva mai voluto separarsi. La prima è un autoritratto fosco ed accigliato, nel quale ribolle quella sorta di rancore represso dei giovani che rivendicano ciò che a loro è stato ancora ingiustamente negato, (riprodotto nella seconda fotografia dell'album che si è potuto frettolosamente raccogliere per integrare in qualche modo la documentazione fotografica offerta dalle tre opere esposte questa sera). Allo Schingo, infatti non fu risparmiato il dolore di sapere che questo suo ritratto, (il primo), era ormai in possesso delle mani ladresche che avevano violato e depredato, poco prima della sua fine, l'atelier di via Fortore, dove con amorosissima cura aveva ordinato l'opera sua degli anni migliori. Soverchiato dal grande berretto, il volto tagliato di traverso a tre quarti dall'ombra che ne condiziona l'impianto prospettico e lo blocca nel giro della parte illuminata, la fronte decisa ed inarcata sulle corde affilate delle sopracciglia sopra agli occhi penetranti, il taglio lapideo dalla bocca, il segno deciso del mento che si distende, salendo ed aprendosi sugli zigomi marcati, segnano il dato volitivo del carattere ed incidono la memoria dell'osservatore: un segno indimenticabile. La seconda opera è l'immagine fragile e trasognata di una donna; una donna forse amata, prematuramente sottratta alle delicatezze del sentimento dell'artista; nei suoi occhi smarriti, nel suo sguardo indefinito già si legge la premonizione della follia, infatti morì pazza. Non potrebbe ravvisarsi, nel suo dolce ma non troppo melanconico viso, un solo particolare che resti un dato estrinseco di caratterizzazione psicologica, come non c'è un solo particolare, in quel ritratto, che resti un dato estrinseco di caratterizzazione formale; l'interiorità spirituale si tramuta in forma e la forma in materia e spiritualità eterna. Quello che è stato un momento della vita si trasfonde nella realtà dello stile come nel senso di una innata vitalità, liberata dalla esperienza irripetibile della prima vita dell'esistenza, con un attento studio dei riflessi, in cui la luce è rifratta, in una immagine tanto sottile da sembrare appena trafitta da una punta di diamante: è cosa di una finezza incredibile! Quel ritratto è, forse, la più tenace testimonianza della capacità evocatrice di cui fu dotato il pittore. Di questi ritratti, quando egli avvertì i primi sintomi del male e cominciava a irrigidirsi la snella agilità delle sue movenze e impediva la piena libertà del suo agire, volle fare silenzioso dono a chi lo aveva rivelato nel più riposto valore, al suo stesso autore, e che, questa sera, scioglie la promessa, allora fatta, di ricordarlo e sottrarlo con i poveri mezzi che ha, al freddo della indifferenza e della dimenticanza, frodatrici della ricchezza spirituale e morale delle generazioni che seguono, unitamente ad altre voci ammonitrici del passato, come accade, il più delle volte, per la dispersione delle opere in frammentarie testimonianze, non ordinate in punti fissi di riferimento e non preservate dalla distruzione, per la mancata tutela in sedi adeguatamente protette. Questa è la preoccupazione: che questa opera, che già si è dissipata, vada ulteriormente perduta e che questa unità, che noi abbiamo raccolto e che è molto significativa, finisca per dissolversi e perdersi: così sarà perduta la memoria di uno dei più significativi artisti della Puglia in questa prima metà del Novecento. Soltanto l'ultimo dei tre ritratti del 1913 è rimasto nella casa che fu sua a San Severo: si tratta di un olio ma, questa volta, la impostazione tipica di alcuni pastelli di Rosalba Carriera e del famoso autoritratto del Camuccini è evidente e non è da escludere che la preferenza per la tecnica del pastello, così spiccatamente emergente nei successivi periodi dell'attività artistica dello Schingo, abbia avuto origine proprio da questo momento della sua produzione. L’Artista, presentato di spalle, volge indietro lo sguardo e, nello sforzo della torsione, l’occhio sembra quasi schizzare dall'orbita, come a voler cercare per ignote vie la conoscenza delle cose, la geometria delle cose, profondamente intuite nelle stilizzazioni della raccolta di disegni che l'avevano segnalato all'attenzione del Cammarano a Napoli negli anni dell'Accademia. In quell’occhio prensile vi è già l’anticipazione, anzi il preavviso del futuro suo impegno, tratto per le inconsce filtrazioni che reggono le ereditarietà delle attitudini, nell'avvicendarsi delle generazioni, di ripetere gli effetti di certe fascinose commistioni di cristalli e smalti, tessuti su metalli preziosi ad opera degli orafi pugliesi alla corte angioina in sul tramonto del Medioevo, di far rifluire, con l'assistenza di un magistero di arte nuova e inconfondibile, le alchimie dei colori che ricoprono magicamente questa nostra campagna e ne infiorano le nuvole vaganti fra le trasparenze terse del cielo e lo splendore cangiante del mare. In quell’occhio rapace, si coglie appena accennato il segno predatorio, attribuito a specie non umane, deificazioni che mai ebbero altra vita, fuori di quella immaginata dai creatori dei miti e dai poeti dell'Età classica o dell'Arcadia. L’accostamento alla pittura del paesaggio avviene per gradi: dapprima immagina la trattazione di temi congeniali alla temperie crepuscolare degli anni che precedettero la prima Guerra mondiale; poi, sempre più accentuatamente, verso il centro degli interessi estetici più vivi dell’Artista. Subito dopo il successo di Firenze, aveva, infatti, posto mano ad una grande opera didascalica di tono deamicisiano, destinata a suscitare sentimenti di solidarietà per i diseredati abbandonati dalla società. Il geloso amore, che egli ebbe per la famiglia, lo induceva ad immaginare la dissoluzione di questa come il trauma più angoscioso nel quale l'uomo possa essere coinvolto. Lavorò dal 1914, dapprima intenzionato con fermo proposito, al quadro delle “Derelitte” ed al problema della figurazione sociale che appare alla fine dell'Ottocento ed ai principi del Novecento; poi, sempre più stancamente ed a intermittenza. Nel 1928, lo espose alla personale di palazzo Fizzarotti a Bari. Aveva sperato in un successo pari a quello conseguito dal Teofilo Patini con “l'Erede”, da Michele Cammarano con la “Riscossa a Trastevere”, di Gioacchino Toma con “l’Ospizio delle cieche”, ma i tempi erano già cambiati. Si accorse con smarrimento di essere stato superato mentre, nel suo isolamento a San Severo, attendeva al perfezionamento dell'opera sua. Del resto, quel vagare dispersivo dei ripensamenti, delle correzioni delle varianti apportate alla originaria stesura era proprio il frutto del suo interno scontento ed aveva già raggelato l'idea che nel bozzetto appariva carica di inquietanti precorrimenti ed aveva spento l'impeto della viva emozione creativa. Tornò, ancora puntigliosamente, sul tema, senza cogliere tuttavia l'ampiezza e la profondità della visione a cui avrebbe potuto aprirsi, se avesse affrontato con immediatezza intuitiva e più rapidi tempi di esecuzione, le possibilità di un'immersione totale ed unitaria nelle morbidezze sfumate suggestive della cultura crepuscolare che, a Torino e a Firenze, aveva avuto i suoi centri di diffusione più vitali e penetranti, ma con i quali Egli non ebbe mai contatti. Nell'esposizione di palazzo Pizzarotti, Schingo presenta anche un'altra opera compositiva di grandi dimensioni, metri 1,20 x2, concepita nel sistema celebrativo di un evento memorabile nella storia del Paese, com'era stato avvertito durante la prima guerra mondiale che aveva vissuto dal di dentro, i sacrifici, le sofferenze di quell'immane tragedia, attendendo con trepidazione il momento in cui l'Italia sarebbe uscita dal conflitto e sarebbe andata vittoriosa incontro ad un avvenire di pace e di ricostruzione operosa. A tale intuizione immaginifica incominciò a dare concreta forma rappresentativa dal 1918; ne venne fuori, però, una configurazione retorica, scopertamente ingenua nella regia e priva di calore, fino al punto di essere ritirata prima della chiusura della mostra e relegata nell'atelier dell'artista come ingombrante e fastidioso ricordo di un tentativo fallito. Questa volta, la crisi fu irreparabile: il conto con quella pittura accademica, stereotipata e di maniera era, ormai, chiuso e per sempre. La scelta dello spazio vitale poteva, ormai, essere fatta solo guardandosi intorno per venire incontro alla libera perfezione della vita e della sua manifestazione ad un fondo solare, non turbato dalla passione, soltanto rilevato dalla sensibilità percettiva dell'occhio. Perciò, la chiave interpretativa della sua pittura sta non nella violenza verso le cose, ma nella non violenza verso le cose: nel rispetto religioso ed etico per le cose; Egli, da questo momento, si limita a recepire l'ordine in cui le trova nell'infinità dello spazio, non di uno spazio circoscritto all'ambiente e neppure nello spazio astratto metafisico, come pure è stato costume del primo Novecento, piuttosto di uno spazio sensibile e vivente, continuo e disponibile al perpetuo evento della vita e delle sue forme. Si lascia prendere dalle forme e della luce e le riveste di favolose ricchezze, per un dono di spontaneità che dà alle sue opere i contenuti irripetibili delle combinazioni di intere serie di elementi compositivi, tenuti insieme in uno spazio disponibile ed eterno. Ove altri generi di pittura moderna, di fronte ad analoghi modelli, appaiono dominati da una furia inquieta, da una morbosità torbida che scava nei recessi della interiorità con un tormento forsennato ed un'angoscia confusa e sconvolgente, la pittura di Schingo, scarna e senza abbellimenti di maniera, manifesta quella serenità dello spirito che, come ha detto Matisse, porta il pittore a credere di aver dipinto ciò che ha visto, ma che non vide perché è un sogno. Sarebbe vano impegnarsi a cercare in Lui le tracce di quella fosca arte del primo dopoguerra nella quale si riflettono le interne frane dello spirito occidentale e le deformazioni freudiane di mitici complessi ancestrali. Tutta la sua opera prova che si può benissimo operare nel campo delle arti figurative anche senza cedere ai processi di astrazione o alle elucubrazioni di un intimismo che talvolta appare di molto dubbia origine. A distanza di un anno dalla sua morte, le 30 opere, che abbiamo potuto raccogliere per quest'esposizione retrospettiva, sono, per la essenzialità del tocco costruttivo, per l'impianto brioso e, nello stesso tempo, saturo di luce, per la scansione nitida e sicura di un disegno inconfondibile, la rivelazione di una coscienza severa ed onesta, veramente ricca di esperienze etiche ed umane, in una misura che non sempre riesce di coglie neppure negli espressionisti contemporanei. Questo pittore non travisa nulla; sta alla verità delle cose, ne compendia i dati essenziali, anche quando riesce a fare della superficie pittorica una epidermide soltanto sensibile che vela talvolta, ma non annulla mai i palpiti della vita. La critica ha, di volta in volta, avvicinato il nome di questo pittore del paesaggio a quello di Giuseppe De Nittis, di Francesco Romano, altro nome dimenticato ma grandissimo pittore del paesaggio pugliese,(ci sono 13 tele nella pinacoteca di Bari che meriterebbero di essere affiancate ad altre tele di pittori ugualmente insigni), e di Giuseppe Casciaro. Si tratta di apprezzamenti che onorano sicuramente l'artista, ma che non sono giustificati, a causa della spiccata ed inconfondibile personalità di Luigi Schingo. Osiamo sperare che lo studio approfondito dell'opera sua possa in futuro chiarire meglio gli accostamenti e le distinzioni con gli altri grandi artisti dell'impressionismo pugliese, come il Netti e il Toma, oltre che il De Nittis e il Casciaro. A documentare la sua opera, in gran parte dispersa ed irreperibile, egli ha lasciato tre album, non molto ordinati e spesso lacunosi e confusi: vi si apprende che tre sue composizioni pittoriche si trovano alla Galleria nazionale di arte moderna a villa Giulia, che altre sono custodite nel Gabinetto nazionale delle stampe a Roma, mentre sette quadri furono acquistati dalla Regina Elena per il Quirinale e due dalla direzione del museo dell'Aquila etc. Vi si apprende, ancora, della vittoria conseguita in vari concorsi nazionali di scultura, come quello per i caduti di Veroli, nel quale predominano però i valori architettonici, e della ritrattistica a tutto tondo, oltre a vigorosi bassorilievi, come quello di Pagano nel liceo scientifico di Bari, fregi, targhe, ornati, elementi decorativi come quelli del teatro di San Severo dell'architetto Cesare Bazzani. Di questa versatilità egli, spesso, si compiaceva ma, a mio avviso, non sempre a ragione. L'amicizia e l'affetto verso di lui non mi fanno velo: ci sono cose che potevano dimostrare la vastità dei suoi interessi, ma che non giovano alla individuazione degli elementi più preziosi della sua pittura. Indubbiamente, la potenza espressiva del busto della madre, di quello di Pio XI, della medaglia d'oro Rossano, non possono non suscitare consensi e giudizi positivi ma, attraverso queste manifestazioni non si coglie tutta la vera personalità di Luigi Schingo. Per tutti gli anni in cui, prima a Molfetta, poi a Roma e, quindi, a San Severo, con il suo nostalgico restituirsi alla terra madre, egli insegnò, rinnovando ogni giorno l'esercizio di una vocazione che gli consentì, oltretutto, la gioia di fare dono delle sue esperienze ai giovani e di aprirsi a loro senza remore, senza appesantimenti accademici, senza inibizioni di interessi materiali, con la semplicità e la chiarezza che sono la negazione dell'egoismo della superbia, perché sono soprattutto amore del prossimo, nell'unità della vita comune. Nella presentazione del catalogo, per la mostra di un suo discepolo, egli dirà di non averne mai frenato la spontaneità dell'espressione, ma di averlo, soltanto con il consentirgli di stare a lui vicino, aiutato, dice, “a succhiare come fanno le api i segreti dell'arte”. Sembra, per stile e contenuti, la prosa di un caposcuola glorioso del Rinascimento che, nella umiltà (consueta quei tempi) abbia smarrito il senso della sua grandezza. Del giovane pittore abbiamo chiesto che fossero in questa sede esposte due opere nelle quali più si riflette il segno dell'influenza del Maestro e la testimonianza del rispetto che Egli ebbe per la personalità del giovane discente. Ad Antonio Priore è stato, quindi, concesso l'onore di stare, ancora una volta, simbolicamente vicino al suo buon Maestro, per aggiungere una nota di umana gratitudine alla più completa conoscenza della opera di Schingo. Non c'è possibile dare più larga indicazione sul folto gruppo di giovani che, attratti dal suo esempio, hanno poi dedicato la loro attività al magistero delle arti figurative, non solo nella pittura, ma anche nella scultura, dove vi sono degli esponenti della provincia che veramente hanno valori non comuni, non facilmente reperibili. Ricorderemo tra essi, non soltanto il nome di uno della famiglia, quello di Augusto, suo nipote, che ha voluto rendere omaggio alla memoria dello zio con la dedica di un quadro che rappresenta l'ingresso al Gargano: è uno dei luoghi che, più di frequente, hanno ispirato la pittura di Luigi Schingo e che, oltretutto, mi offre l'occasione per rileggere questo ricordo, e sempre con commozione, quello che di questa terra sacra ha notato un'anima tra le più nobili che ci sia stato dato di incontrare nella vita. Non conosco altro esempio della letteratura locale che abbia esaltato, con tanta verità e tanta acuta sensibilità, l'immagine della terra che Schingo ha reso nei suoi quadri. Io leggerò questa pagina di Pasquale Soccio, perché è veramente un'alta pagina di poesia e perché rivela quello che per me è proprio la sintesi dello spirito, da una parte di Luigi Schingo e dall'altra di Umberto Fraccacreta che a Luigi Schingo era unito da profondissimo affetto e d'amicizia. Questo quadro del nipote di Schingo, (l'ingresso nella valle di San Matteo di Stignano), ha trovato una descrizione, un'esaltazione in quel che ha scritto il professor Pasquale Soccio. Dice, ed è proprio tutto colore, perché qui non si sa dove finisce il colore e comincia la poesia, così come di Schingo non si sa dove finisce la poesia e comincia il colore: “ Splende nel verde questa mistica via, intagliata nel crudo sasso e in una terra di porpora: e spesso l’accesa fantasia del paesaggio al sole radente ti abbaglia con cascate di sangue e cateratte di fuoco. Così la fede, la buona fede vera, attenta a questi miracoli garganici, vede spicciare, ad un colpo, un egual sangue da pietre spaccate e da mani stigmatizzate di frati. Ma un’ infernale esaltazione dantesca o la severa ammonizione dell'Arcangelo, che ci avverte che terribile è il suo luogo, non spaventa il pellegrino stanco che si adagia nell'amplissima e beata valle di Stignano: porta del Gargano, dei santuari e del cielo. Porta o porto? Dove, cioè, è ancorata la nave ideale del mio cuore e che, un giorno, mi condurrà verso l'eternità. Così come gli Svevi, imperatori e re, dominatori e prigionieri, vestiti d'oro, forse ancora sognano nelle tombe questa loro terra promessa, il mio cuore,” notte e dia”, è in questa valle. La stagionale fioritura di devozione s’impiglia ai mandorli verdissimi, alla mignolatura degli olivi e, con modulate cadenze litanianti, si infila nella scia melodiosa e notturna degli usignoli: opportuna valle di bivacco per eserciti di pellegrini”. Questo era il Gargano di Luigi Schingo: in questi ambienti, in questo clima, Luigi Schingo ha trascorso gli anni maturi della sua vita. Lo sguardo fosco e tormentato dell’autoritratto giovanile si era fatto indulgente e luminoso, la linea amara della bocca si era ammorbidita nella dolcezza del sorriso di chi ha cercato lungo e, finalmente, ha trovato quel che cercava e per cui ha lavorato ogni giorno con gioia, amando il suo lavoro generato dal sogno. Proprio quando pensiamo di operare nel concreto siamo, in effetti, guidati dal sogno. Con l'avanzare degli anni, il sogno, librandosi sempre più in alto, era salito alle regioni dell'infinito, dandogli forse l'impressione di essere sempre più solo e quasi dimenticato nella folla anonima dei nostri tempi Ma, quelli che hanno goduto, che adesso godono e godranno l'opera mirabile del suo sogno ringrazieranno Dio per aver loro donato uno degli uomini che hanno accresciuto la bellezza del mondo. Egli, dunque, è passato, lasciando nell'opera della Sua vita, l'immagine splendente della Sua terra, la luce vivida dei Suoi colori, i bagliori incomparabili dei tramonti del Gargano, riflessi nelle trasparenze cristalline del Suo mare e sempre, dovunque, esprimendo i valori stupendi della Sua visione nelle forme semplici e pure, nella commossa serenità di una nobile sintesi stilistica che fa di Lui l’inconfondibile pittore del paesaggio dauno". Prof. Pasquale DEL PRETE

Autoritratto 38 di Eliana PETRIZZI











Abito in provincia. Si vede dai muri e da come i vecchi si siedono fuori le porte.
Quartiere popolare, rude e socievole come un bastardo. Lavoro ce n’è poco. La gente muore di vecchiaia o di cancro. I ragazzi si fanno tutti. Qualche ladro. Tre strozzini.
Gli uomini si sposano giovani. Le ragazze vanno in palestra quattro mesi prima di sposarsi. Dopo il matrimonio, ingrassano e sfornano figli come giumente. I cani pisciano dappertutto. Insieme al buio, cala un silenzio senza incrinature. Già alle 9 di sera, potrei camminare nuda in mezzo alla strada. Mi viene da pensare a quello che diventerò, ma non vedo assolutamente niente.
Entro in casa con una di quelle occhiate che si lanciano per strada a qualcuno che ci rassomiglia. Guardandomi allo specchio, ho avuto la sensazione di essere qualcun altra; una persona entrata di soppiatto nella stanza col viso segnato dalle tracce di una devastazione anteriore.
Mi torna in mente una vacanza a Londra. In un sexy shop, video porno e molte locandine dai rossi carichi: l’impressione è di figure rivoltate dall’interno. Entro in sala. Un uomo e una donna scopano sul palco. Lei è bionda, minuta. Lui, steso su di lei, sussulta, suda, preso dal sapore sordo della carne. I piedi di lei pendono inerti sulle spalle di lui. Vibrano appena, come certi corpi ancora vivi dopo il suicidio. Cambio di posizione; lei sopra di lui. In un rantolo di belva, lui fa di tutto ma non riesce. Dopo una ventina di minuti si alzano, salutano e con un sorriso si scusano.
Nel piatto del brodo, l’olio galleggia in dischi silenziosi come galassie. Penso al mio nome che, a dirlo e ridirlo in mente, mi diventa sempre più estraneo. Mi capita lo stesso se cambio l’oggetto del mio pensiero. Mi accorgo così che non è esistito mai niente che io sia stata veramente in grado di riconoscere; ogni cosa è neutra come vorrei fosse a volte la vita: un treno lontano che si sente appena nella notte.
Aspetto una parola senza senso, sola nell’onestà del suo splendore insignificante.
E’ domenica; giorno squartato come una carogna nella savana. Seduta su un marciapiede, ascolto l’aria che passa sugli alberi della collina. Uno strano silenzio intorno mi dice che ogni cosa, nella sua essenza, è immutata e mutevole.
Saluto qualcuno, ma non mi fermo con nessuno: parlare delle cose passate è inutile, parlare di quelle future è poco furbo perché poi, di solito, non capitano.
A mezzogiorno, sulle panchine davanti al Comune, i corpi degli uomini assumono la posizione di quelli che si vedono in TV dopo una strage. Al bar, mirabile accordo tra le persone ai tavoli e le canzoni alla radio: non ricordo né le une né le altre.
Davanti all’orologio, stupore alla vista dell’ora migrante. Nulla sopravvive alla propria definizione. Spesso neppure alla propria intenzione. La nausea del noto mi tramortisce con bruschi affondi di non-senso. Mi sfinisco tra abitudini in fila come denti digrignati in una notte di guerra. L’indifferenza cresce, spessa come un’unghia che si fa sempre più rozza.
Delle cose buone so molto poco. Se all’improvviso potessi vivere un solo giorno di pace, come farei poi senza i miei piedi scalzi, senza gli abiti bagnati? Una paura strana scompagina ogni mia intenzione. Il cuore si è fatto piccolo e buio come un seme che non ha attecchito. Ho paura della vita, del minuto prossimo come degli anni a venire: dolore di vene aperte, di unghie troppo corte. Ricorderò un giorno le mie ore migliori morte come aironi in una rete di confine. Non ho capito niente. Non ho imparato la regola della Natura in cui è ribadita senza equivoco la mia ignoranza. Non ho imparato il sereno distacco con cui è bene legarsi alla vita: il mio desiderio non si impiglierebbe in niente, ma crescerebbe al di là, privo di oggetto. L’angoscia di non riuscire a fare tutto quello che devo, non si placa neanche dinanzi alla quotidiana rivelazione di non avere niente da fare. Eppure, una luce calda mi rassicura sull’indomani. I vestiti cadono dal corpo col fruscio di una gazza che passa lontano sui pini. Mi stringo le mani sui fianchi: ho una vita stretta. Mi fa tenerezza e un po’ pena questa mia magrezza, questa pancia vuota da bambina che non è mai uscita, che non ha mai attraversato una strada.
Mi viene voglia di essere pietra, terreno, pianta sottoposta al cerchio del sole. Guardo le mie mani e non le riconosco. Capisco con chiarezza che la vita non esiste.
Chiudo gli occhi e sento la forma dell’Universo. Ho nostalgia di una Storia che mi sorprende ogni giorno nel buio di appartenenze incerte. Presto le mani ad azioni risapute, mentre fuori gli uccelli passano silenziosi come le ore, come gli altri.

Jennifer PRESANT






Statement
With an artistic training in figurative realism and a background in graphic design, my paintings unite my interest in the psyche as expressed through the human form and a personal graphic aesthetic. Thematically, my paintings address the complexity of memory, by blurring the lines between recollection, projection, and reality. Each painting becomes a psychological landscape or waking dream, reinforcing the fluid relationships between time, memory and place. The projected image as object, and the notion of projection, is the most dominant visual metaphor pervading the compositions and gives my paintings the look of theater, video and installation art. By merging both real and fictitious images in these painted fictional documentaries, I explore the conflation of our media-saturated lives and our lived reality; we live among images and in many ways as images. Our memories of events have become distorted. With media today, we have grown accustomed to watching ourselves and living from a voyeuristic standpoint. With these paintings, the viewer’s imagination plays an important role in the piece, while also being implicated in the voyeurism depicted.
Biography
Born: 1971, New York, NY
Education:
2002 MFA; cum laude, New York Academy of Art, New York, NY
1993 BFA; Washington University, St. Louis, MO
1992 Lorenzo Di Medici Institute, Florence, Italy
Professional Experience:
2008 - Present Adjunct Instructor; Queensborough Community College
2003 Graduate Teaching Assistant ; New York Academy of Art
1994 - 1999 Senior Graphic Designer; Scholastic Inc.
Solo Exhibtion:
2007 "Pro•ject", Linda Warren Gallery, Chicago, IL
Group Exhibitions:
2009 "Summer Exhibition 2009", curated by Eric Fischl, Matthew Flowers, Anne Strauss, New York Academy of Art, NY, NY
2009 "Old School", Jack the Pelican, Brooklyn, NY
2009 Caldwell Snyder, San Francisco, CA
2008 "Small Works", Sarah Bain Gallery, Anaheim, CA
2008 "City Lights", George Billis Gallery, New York, NY
2008 "Chicago Art Fair", shown by Linda Warren Gallery in Chicago, Illinois
2008 "Take Home a Nude" Art Auction at Phillips de Pury & Company, New York, NY
2007 "Summer Exhibition 2007", curated by Eric Fischl, Jenny Saville,
Vincent Desiderio, New York Academy of Art, New York, NY
2007 "Four Handed Lift: Advocacy, Art, Spirit and Community",
Moti Hasson Gallery, New York, NY
2007 "Small Works", Sarah Bain Gallery, Anaheim, CA
2007 "Chicago Art Fair", shown by Linda Warren Gallery in Chicago, Illinois
2006 "Contemporary Imaginings, The Howard A. and Judith Tullman Collection",
Mobile Museum of Art, Mobile, Alabama
2006 "Night of a Thousand Drawings", Group Show, Artist's Space, New York, NY
2006 "AAF", shown by DFN Gallery, New York, NY
2006 "Salon 2006", New York Academy of Art, New York, NY
2006 "LA Art Fair", shown by Linda Warren Gallery in Chicago,
Los Angeles, CA
2005 "New Works", curated by Eric Fischl, Jane Gallery, St. Barthelemy, F.W.I.
2005 "A Terrible Beauty: Figurative painting in the 21st Century", Grey McGear Modern, Santa Monica, CA
2005 "Small Works", Sarah Bain Gallery, Brea, CA
2005 "Cityscapes", Sarah Bain Gallery, Brea, CA
2005 "Take Home a Nude" Art Auction at Phillips de Pury & Company, New York, NY
2005 "Go Figure", George Billis Gallery, New York, NY
2004 "Postcards from the Edge, Visual Aids Benefit", Brent Sikemma Gallery,
New York, NY
2004 "Night of a Thousand Drawings", Group Show, Artist's Space, New York, NY
2004 "Points of Muse", Linda Warren Gallery, Chicago, IL
2004 "Separate Visions", Sarah Bain Gallery, Brea, CA
2004 "Still Life", Sarah Bain Gallery, Brea, CA
2004 "27th Small Works Exhibition", New York, NY
2003 "Space Invaders", curated by Peter Drake, Fish Tank Gallery, New York, NY
2003 "26th Small Works Exhibition", New York, NY
2003 "College Art Association MFA Exhibition", Times Square Gallery, New York, NY
2002 "MFA Thesis Exhibition", New York Academy of Art, New York, NY
2002 "National Arts Club 26th Annual Student Show", National Arts Club,
New York, NY
Press:
Upcoming Featured Artist Interview, The Huffington Post
2009 Inclusion in Publication of Artists, New American Paintings, No. 80., 2009
2008 Inclusion in Publication of Artists, Studio Visit, Volume 2, 2008
2007 Artner, Alan, Art: Reviews, Chicago Tribune, June 22, 2007
2007 Nance, Kevin, Art Review, "How it all happened, or not; New exhibit blurs the line between fact and fantasy" Chicago Sun-Times, June 6, 2007
2007 Featured Artist CHI #140, Flavorpill: Chicago, May 22, 2007
2007 "Gallery Shorts", F News Magazine: The School of the Art Institute of Chicago, May 2007
2007 "Galleries and Museums: Featured Artists", Chicago Reader, May 18, 2007
2007 Rose, Joshua, " Persistence of Memory", American Art Collector, Issue 19, May 2007
2006 Duffy, Heather, "Creative Imaginings: The Howard A. and Judith Tullman Collection", The Vanguard, USA, Nov. 20th, 2006
2006 Harrison, Thomas, "Artwork, Imagery Provocative in Tullman Show", Mobile Register, Nov. 2006
2003 Krenz, Marcel, "Space Invaders: Six Painters & Two Sculptors Reconstruct Representation", Contemporary, Issue 55
Awards:
2009 First Prize Summer Exhibition 2009, chosen by Eric Fischl, Anne Strauss and Matthew Flowers
2003, 2004, 2006 Residency Fellowship to attend Vermont Studio Center
2002 Prince of Wales Fellow
2002 O. Aldon James, Jr. Award, National Arts Club, New York, NY
2001, 2002 Merit Scholarship Awards, New York Academy of Art,
New York, NY

martedì 26 gennaio 2010

Pittori della Capitanata tra Ottocento e Novecento



55 opere da collezioni private, per la prima volta in esposizione, più cinque tele prestate dal Museo Civico di Foggia e due dall’Istituto Tecnico “Pietro Giannone” di Foggia, per illustrare la produzione di 31 artisti d’eccellenza di Capitanata.
E’ la scheda sintetica della mostra intitolata “Pittori di Capitanata ‘800-‘900. Opere da collezioni pubbliche e private”, inaugurata ieri presso la Galleria della Fondazione Banca del Monte “Domenico Siniscalco Ceci”, in Via Arpi 152, a Foggia.
L’esposizione è stata organizzata dalla Fondazione foggiana per dare maggior lustro ai pittori già noti del territorio ma, soprattutto, per far conoscere gli artisti dauni che sono diventati celebri lontano dalla terra natale e tuttora sono conosciuti in Capitanata solo dagli “addetti ai lavori”.
Il vernissage è stato preceduto da una breve presentazione, ad opera del Presidente della Fondazione, avv. Francesco Andretta, del Presidente della Provincia di Foggia, On. Antonio Pepe, e del curatore della Mostra, lo storico e critico d’arte foggiano (è originario di Orsara di Puglia) Mario Melchiorre.
“Anche chi non ha cognizioni approfondite di Arte”, ha esordito il Presidente Andretta, “si renderà conto dell’importanza di questa mostra. Sono opere di artisti celebri ma anche meno noti. La maggior parte dei foggiani conosce alcuni dei nomi degli autori soprattutto perché sono loro intitolate strade del capoluogo. Al di là degli scherzi, si tratta di un appuntamento per il quale abbiamo lavorato tutti intensamente, dal curatore a ciascun componente della Fondazione, perchè sapevamo di fare qualcosa di molto importante, non solo per la nostra istituzione, ma –lasciatemelo dire- per la storia stessa della città e del territorio. E per questo che abbiamo chiesto al Presidente della Provincia di inaugurare la mostra”.
Andretta ha anche annunciato una novità nella “politica” della Fondazione Banca del Monte: “Oggi, per la prima volta, un catalogo di una mostra da noi organizzata viene messo in vendita e non distribuito gratuitamente. Il prezzo, peraltro -15 euro- è risibile in proporzione alla qualità dei contenuti, alle numerose illustrazioni a colori, al pregio grafico e dei materiali. E’ un modo per rientrare, anche se in misura minima, delle spese sostenute per la stampa e avere a disposizione fondi da re-impiegare in altre iniziative culturali. Ma è anche la maniera per abituare ad una nuova mentalità: la compianta archeologa foggiana Marina Mazzei soleva dire ‘La Cultura è un servizio e si deve pagare per fruirne’. Così deve essere anche nella nostra città”.
Il Presidente della Provincia Pepe ha fatto i complimenti alla Fondazione per l’iniziativa: “Sono un po’ invidioso, benevolmente, per una mostra così importante: avrei voluto che fossimo stati noi ad organizzarla”.
L’On. Pepe ha poi rilevato come la mostra faccia “riscoprire” quanto sia stata ricca di importanti produzioni culturali la Capitanata: un modo per meglio apprezzare l’attuale patrimonio del territorio. “La Provincia”, ha concluso Pepe, “grazie all’impegno del nostro Assessore al settore Billa Consiglio, sta dando grande impulso alle attività culturali del territorio, ma è fondamentale che tutti gli attori del campo coordino gli sforzi: per questo speriamo in future, intense collaborazioni con la Fondazione Banca del Monte”.
L’intervento di Mario Melchiorre si è concentrato sul dato tecnico-storico della mostra: il curatore ha studiato a fondo gli artisti dauni del periodo e nel 2005 ha pubblicato, grazie al patrocinio della Fondazione, il volume “La Pittura a Foggia tra Otto e Nocevento”.
“Siamo abituati”, ha detto Melchiorre, “a sottovalutare i tesori artistici, storici, architettonici e paesaggistici del nostro territorio e altrettanto accade per i nostri artisti. La mostra vuole, tra l’altro, sfatare questo luogo comune e dimostrare quanto siano stati rappresentativi, in tutta Italia, gli artisti dauni vissuti tra l’800 e la prima metà del ‘900 ed evidenziare il contributo che molti di essi hanno dato all’affermazione di gruppi, movimenti o correnti artistiche. La mostra è importante per Foggia anche perchè, per la prima volta, le opere di pittori importanti e noti a livello nazionale o addirittura internazionale –come Saverio Altamura- appaiono assieme a quelle di artisti meno noti ma altrettanto validi, ad attestare quanto valido sia il patrimonio pittorico di Capitanata”.

Melchiorre ha, poi, tratteggiato l’importanza di alcuni autori e delle opere esposte.
Per Saverio Altamura non c’è stato bisogno di una lunga presentazione: il pittore-patriota foggiano è molto noto nella sua città, anche per le numerose iniziative che gli sono state dedicate nel capoluogo in questi anni, tra cui il restauro de “La morte di un crociato”, finanziato dalla stessa Fondazione. Melchiorre ha, però, ricordato che Altamura, nel 1855, di ritorno da Parigi, espose per primo a Firenze, nel Caffè Michelangelo, assieme all’amico pittore Serafino De Tivoli, la novità del “Ton Gris”. Del pittore foggiano sono presenti il suggestivo “Il giuramento dei crociati”, un bell’ “Autoritratto” e un quadro particolare: “Modella”, sul cui “recto”, riprodotto ed esposto assieme al primo, è dipinta una “Veduta di Bruges” attribuibile al figlio naturale di Altamura, Bernardo Hay, avuto dalla relazione con la pittrice inglese Jane Eleanor Benham Hay.
Del grande Giuseppe Fania (Foggia 1837-Napoli 1904), c’è un pregevole disegno, “Paesaggio con arcate gotiche”, bel saggio del grande scenografo, molto apprezzato in Italia e all’estero. Nel 1854 realizzò per il Teatro San Carlo di Napoli le scenografie della “Traviata” per le quali ricevette i complimenti dello stesso Giuseppe Verdi. Lavorò a Vienna, Parigi, Madrid e San Pietroburgo. Nel 1871ideò le scene usate per “Aida” al Cairo.
C’è un bel “Paesaggio Lacustre” del pittore Alessandro La Volpe (Lucera 1820-Roma 1887), poco conosciuto in Capitanata ma tra gli artefici della “Scuola di Posillipo” lanciata dai capiscuola Anton Sminck van Pitloo e Giacinto Gigante.
Da rivalutare l’opera del grande incisore Saverio Pollice (Foggia 18227-Castelnuovo di Napoli 1887), presente con una due incisioni, “Il Menestrello” e “Iconavetere”. Realizzò opere molto importanti su commissione e partecipò a mostre in tutta Italia. A Foggia impiantò uno stabilimento tipo-litografico, diventò
Tra i noti, spicca anche Domenico Caldara (Foggia 1814-Napoli 1897). Fu artista prediletto dalla Regina di Napoli Maria Teresa che, alla morte del marito Ferdinando II di Borbone, nel 1859, chiamò proprio il pittore foggiano a ritrarre il sovrano sul letto di morte. Di Caldara sono esposti due raffinati ritratti e una rarissima “Natura Morta”, soggetto pressoché sconosciuto per questo pittore, dipinta a Foggia nel 1850.
Tra i novecentisti, da ricordare Emanuele Cavalli (Lucera 1905-Firenze 1981) che, nei primi anni ’30, insieme ai pittori Giuseppe Capogrossi e Corrado Cagli , fu tra gli ispiratori della pittura tonale.
Rappresentato con una bella caricatura di Annibale Ninchi e Vittorio Gassman, Umberto Onorato (Lucera 1898-Cassino 1967) , vissuto a Roma nella prima metà del ‘900: uno dei più grandi caricaturisti italiani del secolo; a Roma, al Museo del Burcardo sono conservate circa 400 sue opere.
Di Severino Trematore (Torremaggiore 1895-naufragio nell’Atlantico, mentre veniva deportato in Canada, 1940), grande ritrattista e paesaggista vissuto nel prima metà del ‘900 a Genova, è esposta una “Piazza di Londra” (1933). Virtualmente ignoto nella sua terra natale, Trematore è stato celebrato dalla città adottiva, negli anni ’60, con un premio di pittura e tre mostre retrospettive.
Queste e tante altre notizie sono riportate nel catalogo della mostra, “Pittori di Capitanata ‘800-‘900. Opere da collezioni pubbliche e private”, edito dalla Effebiemme servizi s.r.l., società strumentale della Fondazione Banca del Monte di Foggia; 15 euro. I saggi, le biografie e le schede delle opere sono realizzati da Melchiorre, e da critici e storici dell’arte foggiani: Gaetano Cristino, Gianfranco Piemontese, Carmelo Cipriani, Dante Gualano, Matteo Tedesco e Domenico Toto.
Una presenza di spicco, alla serata inaugurale, quella di tre discendenti del pittore foggiano Alberto Testi: la figlia 95enne Livia, la nipote Eva Malice e la pronipote Rossella Russo.
L’esposizione rimarrà aperta sino al prossimo 6 febbraio.
Per informazioni, si può consultare il sito internet della Fondazione Banca del Monte “Domenico Siniscalco Ceci” di Foggia, all’indirizzo www.fondazionebdmfoggia.com.

giovedì 21 gennaio 2010

"SONG and DANCE" di Duke Ellington


To describe the beauty of this video would be like trying to explain the mystery of a drop of early morning dew...
Believe me, this is one of the most stunning videos I have seen..
Sophisticated, sensuous, elegant, intellectual, poetic, minimalist, sleek, dramatic, powerful...
An artistic fusion and blend of ideas, attitudes and different moods...
An ... intriguing amalgam of gestures and structures...
Extraordinarily interwoven images take a certain beat, rhythm and texture that resemble the spontaneous improvisation in Jazz..
It is a yin and yang, a song and dance in black and white created by Francesco Sessa, a captivating moment of pure artistic genius....
Elia Iglesias

martedì 19 gennaio 2010

The Zentrum Paul Klee di Renzo PIANO










On June 20th 2005 the Zentrum Paul Klee opened its doors to visitors interested in art and to art lovers from all over the world. At the heart of this new cultural institution is the artist Paul Klee (1879–1940), his life and his work. Today Paul Klee, who was also a musician, teacher and poet, ranks as one of the 20th century’s most significant artists. The Zentrum Paul Klee in Bern, where the artist spent a half of his life, is a monument of international renown and a personal tribute to Paul Klee himself.
Of the 10,000 or so works that make up Paul Klee’s oeuvre a good 40 per cent, that is to say around 4,000 paintings, watercolours and drawings as well as archives and biographical material, has been brought together at the Zentrum Paul Klee. The Centre’s collections are considered as the largest collection of a single artist of world renown.
According to the "vision" of it's founder, Prof. Dr. med. Maurice E. Müller, the Zentrum Paul Klee is not to be an art museum in the traditional sense. It is to become the leading centre of competence worldwide for research into and the mediation and presentation of Paul Klee, his life and his work, as well as the way in which his art is received. Given the diversity of Paul Klee’s artistic activities the Centre therefore not limits itself merely to showcasing Klee’s pictorial work but acts as a platform for interdisciplinary forms of artistic expression.
For this centre of excellence on all matters relating to Paul Klee a traditional museum is not what the renowned, award-winning Italian architect Renzo Piano had in mind. Renzo Piano's in-depth involvement with the complex project commission and the terrain on the eastern outskirts of Bern gave him the idea of creating a spacious island of green from which the architecture would emerge in the form of three undulating waves. In its entirety the Landscape Sculpture created as a result becomes a cultural destination.
The three hills of steel and glass are divided up into a programmatic structure characterised by an interdisciplinary approach. Indeed besides generous exhibition space the premises also include a state-of-the-art music and performance venue for the Centre’s own programs and for guest ensembles, a children’s museum for anyone aged 4 and over keen to gain access to art through their own creative output, a multifunctional promenade with a multitude of communication installations, and plenary halls and seminar rooms with the very latest infrastructure for staging national and international conventions. The fine arts, music, theatre, dance, literature, art science and art mediation therefore not merely co-exist side by side; they give rise to new forms of expression through a form of artistic cross-pollination – for the sole benefit of the public’s enjoyment.
This exceptional cultural centre costing some 125 million Swiss francs was made possible by a public private partnership. The private contributors are the Klee family, the family of the internationally renowned orthopaedic surgeon Prof. Dr. med. Maurice E. Müller, Dr. h. c. mult., and his wife Martha Müller-Lüthi, as well as private collectors and sponsors from business and industry. The idea to create not a museum for Paul Klee, but a cultural center, which does justice to the interdisciplinary work of the artist, originated from Prof. Dr. med. Maurice E. Müller.



mercoledì 13 gennaio 2010

JKMM Architects - The New City Library in Turku, Finland

















The new city library in Turku is located at the historical centre of the city. The building is the latest addition to a block with the old library and several other historically valuable buildings. The historical and cultural value of the site presented a great challenge for the planning of the new building. The objective of the project was to create a new construct, which would harmonize with the historically invaluable setting while also manifesting an architecture of its own age.
In terms of urban planning the goal was to fill out the open and unstructured street corner by following the edges of the existing urban grid. By constructing the building on the outer perimeter, we were able to provide an open space in the middle of the lot, which was designed to serve as a courtyard for recreation and a stage for cultural events. The interior of the new building is annexed with the existing 100-year old library building and the chancellery of the governor built at the beginning of the nineteenth century, now restored and transformed to facilitate a café and meeting rooms.
The new library has a functionally clear design. The public spaces are situated mainly on two floors surrounding the opening to the courtyard. The staff premises are located systematically on one side of the building facing the street. The new main entrance opens onto the corner of two main streets.
The first floor has a reception and lounge area, a children’s and youth section, and a modernized version of a periodicals reading room called the news market, which functions simultaneously as the link between the new library and the old buildings.
The main room of the new building is reached through a main stairway, which opens to a monumental space containing the non-fiction stacks and reading areas. The guiding principle in the space planning was flexibility; the functions of the library may change radically in the future with the introduction of new media. The rooms are open, and the functions are limited only by the transformability of the easy-to-move furniture.
The materials of the building were chosen to accommodate the environment. The facades are mainly plastered, which is the predominant material of the old buildings in the block. Initially we considered using red brick, but gave up the idea to allow the old library building to remain the only brick building on the block thus emphasizing its primary position in the neighbourhood.
Natural stone was also used extensively on the facades, the stairway and the grounds surrounding the building. In the interior we used mostly European Oak in the wall furnishing and furniture. The structure of the building was made from concrete cast on site, which was left exposed as an important part of the interior design.
The fair-faced concrete was formed with vertical boards to achieve the rough feeling characteristic of the material.
The basis of the planning was to create a new library to meet up with the challenges of the future. At the same time, the library has a long and rich history, which the architecture should also take into account. The architectonic whole is formed from the union of these two oppositions, the past and the future.
Project Details and Credits:
Project: City library in Turku
Address: Linnankatu 2, 20100 Turku, Finland
Year of completion: 2007
Floor area: 6 900 m2
Client: Turku City
User: Turku City Library
Designers:
Architect: JKMM Architects. Main designer: Asmo Jaaksi architect SAFA. Design team: Teemu Kurkela, Samuli Miettinen, Juha Mäki-Jyllilä, Mikko Rossi, Katja Savolainen architects SAFA, Päivi Meuronen interior architect SIO
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