Quanto ci manca oggi
Michelucci, l'architetto delle radici
Un convegno e una mostra ripercorrono la lezione del maestro scomparso nel 1990
E ci aiutano a capire qualcosa del suo successo che continua
Sembrano racchiudere tanta sapienza antica, ma non la danno a vedere, si esprimono con parsimonia, pochi materiali e forme, offrendo una faccia esterna non bella, ma rigorosa e misurata.
Poi, varcata la soglia, appaiono spazi interni profondi, ampi, generosamente amanti della vita, accoglienti per passione, come se un'antica, orgogliosa presunzione avesse dato alla luce luoghi semplici ma magnifici. Al centro di tutto si trova l'uomo e si muove in spazi che sembrano ispirati dalla religiosità dell'architettura toscana delle origini e dall'umanesimo. Ma qui mi chiedo: sto parlando delle architetture o sto parlando del carattere della gente? E capisco perché i toscani amano tanto Michelucci. Perché ha trascritto nelle opere il carattere secolare di questa gente, che in esse si rispecchia. E ha innovato, proprio come Masaccio. E se allarghiamo lo sguardo, anche il paesaggio toscano vi si rispecchia, ha gli stessi caratteri. A riprova, tornano alla memoria le maliziose parole di Michelucci che racconta di aver marinato le lezioni dell'Accademia per rifugiarsi nelle sue campagne a disegnare olivi, ramificazioni e radici, tratti di paesaggio, tutte figure che ricompaiono, molti anni dopo, come strutture cementizie in quegli spazi interni organici, che danno forma alla Chiesa dell'Autostrada piuttosto che all'Osteria del Gambero Rosso a Collodi.
Ma cosa si prova ad entrare in questi spazi, come anche in quelli più ordinati del Salone della Cassa di Risparmio o della Stazione? Qualcosa colpisce il nostro animo: un'esperienza di vita - non solo un'emozione estetica - la stessa che proviamo ad attraversare il Battistero o Santo Spirito, o ancora una strada di San Gimignano. La sagoma dello spazio è più ampia del solito, le luci provengono da più parti, un ordine strutturale lo plasma e cogliamo le molte direzioni in cui si svolge la vita delle persone, di colpo ci sentiamo immersi in una metafora del cammino dell'esistenza e scopriamo che noi siamo l'attore principale. L'animo coglie questa atmosfera e allora prova, come diceva il Maestro, "una dolcissima pace". Non sempre questi spazi interni sono ordinati, talvolta il dramma dei tempi vi resta impresso, come la tensione della crisi di Cuba forgia la tragedia spaziale della Chiesa dell'Autostrada e lì proviamo lo stupore della nostra inadeguatezza di fronte ai misteri del mondo.
Michelucci possedeva proprio quella "grazia" - tipicamente toscana - di introdurti gradualmente all'arte legandola alla vita: quando guardi queste sue opere, schiette e murate, ti ritrovi dapprima in un contesto familiare - spazi misurati, pietra solida, finestre in legno e tanta buona educazione - ti senti a casa, poi qualcosa inizia a stupirti e passi di stupore in stupore, perché tutto ciò che era della tradizione, le stanze, le facciate, le colonne, i tetti, tutto quanto viene modificato e riplasmato, creando spazi inusuali e sorprendenti, che avvolgono gli uomini. In quelle forme compare una sintesi di Gotico e Romanico - proprio quella che aveva originato il Rinascimento - ma stavolta nuovamente interpretata con gli strumenti e il pensiero della Modernità. Ma Michelucci, attraverso queste sue forme, non vuole parlarci tanto degli stili dell'architettura o delle sue regole, vuole parlarci soprattutto degli uomini, vuole raccontarci quel che ha capito della nostra vita, dei suoi dubbi, del nostro bisogno di essere individui, di raccontare la nostra esperienza, di esprimerci con sincerità e passione emotiva, ma soprattutto di essere membri di una comunità, di uno spirito corale che costruisce continuamente i luoghi della città e la società umana.
Quanto ne sentiamo la mancanza oggi, schiacciati come siamo dal predominio delle tecniche e dalla spettacolarità gestuale e consumistica di un atteggiamento individualista e solitario, che ha travolto i nostri paesaggi! Dobbiamo veramente trovare la forza di ribaltare questa sconfitta e tornare alle nostre radici; e proprio per creare gli antidoti a questa decadenza, dobbiamo continuare a imparare da Michelucci: da studioso, da giovane architetto, ma ancora oggi, tutte le volte che mi avvicino a una sua architettura, quando rileggo i suoi scritti o ricopio i suoi spazi e le sue sezioni, non è mai un'esperienza conclusa; al contrario, scopro ogni volta qualcosa di nuovo, si aprono mondi nuovi, emergono interpretazioni originali e ogni volta differenti, significati sempre più profondi. Il pensiero, il pensiero spaziale e il pensiero progettante ne restano plasmati, richiamano altri esempi e altri pensieri, generano associazioni mentali e progrediscono: ecco la formatività delle opere, quando la singola opera di architettura in cui è incarnata la profonda umanità e la partecipazione emotiva dell'autore, di Michelucci, ed è pietra viva, è densa di significati, dialoga con chi la attraversa e forma lo spirito di chi la osserva e la studia, predisponendolo a nuove sintesi di progetto. Si genera così quella circolarità fra opere e spirito dell'uomo, che è la vera vita dell'arte e un modo per tornare a interrogarci sulla nostra esperienza del mondo.
di Fabrizio ROSSI PRODI
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