martedì 25 novembre 2014
Filippo Cifariello, la vita, l'arte, gli amori: Gaetano Mongelli presenta il libro di Nicola Mascellaro a Molfetta
MOLFETTA – Si parla di Filippo Cifariello, grande scultore molfettese venerdì 28, alle ore 18.30 a Molfetta nella galleria 54 Arte Contemporanea (Via Baccarini 54), in occasione della presentazione del libro “Filippo Cifariello la vita, l’arte, gli amori” di Nicola Mascellaro. A parlare del libro e dello scultore molfettese che fu maestro di Cozzoli sarà il prof. Gaetano Mongelli, Docente di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Bari.
Il libro di Mascellaro che ha tutte le caratteristiche per essere un romanzo, un prodotto della fantasia è, invece, una storia vera e, come spesso accade con le storie vere, la realtà supera la fantasia. L’autore ci racconta, con il ritmo incalzante di un articolo di cronaca, una storia intensa e passionale ambientata nell’ovattato mondo dell’Arte, della scultura e ugualmente ricca di colpi di scena fino all’ultima pagina. È la vita di un grande artista, uno scultore famoso e geniale che s’innamora di una chantosa, un’affascinante francese di Lione, e la porta all’altare.
Dell’artista, frequentatore assiduo di corti europee, è stato scritto molto; dell’uomo poco. Lui stesso ha scritto solo una parte della sua vita, il resto è rimasto nelle cronache dei quotidiani: pagine e pagine in cui si racconta la sua odissea segnata da invidie, gelosie, rancori in un susseguirsi di successi e sconfitte, insieme a una vita ricca di patimenti d’amore, d’odio, tradimenti e inganni.
La storia di un uomo che cade rovinosamente, si rialza, diventa più grande e famoso che mai, ma è perseguitato dalla sorte maligna che non gli lascia scampo.
È la vita di Filippo Cifariello, scultore di fama internazionale, nato a Molfetta nel 1864.
L'AUTORE
Nicola Mascellaro ha lavorato alla «Gazzetta del Mezzogiorno» dal 1966 al 1996 come responsabile dell'Archivio fotografico e di documentazione del giornale pugliese. Ha già pubblicato: Una finestra sulla storia (cronaca degli anni dal 1887 al 1995 in sette volumi), C'era una volta Bari, Quando andavamo al cinema (Di Marsico Libri, 2013), Notti Magiche 1930-2010 Ottant'anni di calcio mondiale (Di Marsico Libri, 2014).
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giovedì 13 novembre 2014
"Oltre l'oblio": le opere di Nicola Liberatore in mostra a Foggia
"Oltre l'oblio": le opere di Nicola Liberatore in mostra a Foggia
Presso Palazzetto dell'Arte - Museo civico Dal 08/11/2014 Al 09/12/2014
Sarà inaugurata sabato 8 novembre alle ore 18 presso il Palazzetto dell'Arte "Andrea Pazienza" di Foggia, via Galliani 1, la mostra personale di Nicola Liberatore intitolata "Oltre l'oblio".
La mostra, articolata in due sedi espositive, Sala Grigia del Palazzetto dell'Arte e Museo Civico (Piazza Nigri 1), è curata da Gaetano Cristino e Luigi Paolo Finizio e presenta le opere più significative del Maestro, volte a coniugare il rapporto tra la materia, il sacro e il tempo.
Nel catalogo che accompagna la mostra, introdotto dal Sindaco di Foggia Franco Landella, dall’Assessore alla Cultura Anna Paola Giuliani e dal dirigente del Servizio Cultura e Sistema Museale Civico, Gloria Fazia, i due curatori hanno colto gli elementi specifici dell'arte "senza tempo" di Nicola Liberatore.
Per Gaetano Cristino "ex voto, madonne nere, immagini di santi, ori, abitini femminili per prima comunione, abiti nuziali, fasce per neonati, scarpine, pagine scritte, rotoli di tela, decontestualizzati rispetto alla loro essenza etnografica o d'uso e mirabilmente manipolati dall'artista con un lavoro di stratificazione/macerazione della materia e delle cromie sulla superficie, oltre che con assemblaggi, vivono in una dimensione altra, completamente nuova, la dimensione estetica, che tutto simultaneamente congiunge, passato e presente, vita (e gli oggetti, anche devozionali) e azione artistica, affabulando il fruitore, con la sua potenza e finezza espressiva, sugli eterni misteri del sacro e dell'esistenza".
"L’arte di Liberatore - ha sostenuto a sua volta Luigi Paolo Finizio - arretra nel passato, induce alla nostalgia, sottrae il tempo al tempo. La sua identità visibile e comunicativa attraverso la memoria, nei sedimenti di materiali e oggetti, nel combinarsi di forme e colorati pigmenti, di tessuti e oggetti, non si concede, certo, alle realtà oggettuali e simboliche che comunemente ci attorniano, che diffusamente configurano i costumi e gli usi dei nostri tempi. Dove la tecnologia, sino al digitale, preme e ribalta i desideri sull’attualità del sentire e vedere. Le sue opere mostrano come poter ritrovare, riconvertire il desiderio sul tempo andato, nel divenuto di una memoria, di una storia che ci riguarda nella continuità della coscienza, della cultura. I suoi santi sbiaditi, le sue cattedrali che rigenerano il fondersi di stilemi e ricami, le sue icone stinte fra oriente e occidente e le pagine di manoscritti che richiamano il corale di un salmo polifonico, rendono un’antologia di segni incastonati nel tempo".
La mostra sarà visitabile fino al 9 dicembre 2014 con i seguenti orari:
Palazzetto dell'Arte: da martedì a sabato, 9-13/17-20. info: 0881-814058/0881-814515. e-mail: cultura@comune.foggia.it
Museo Civico: da martedì a domenica: 9-13; martedì e giovedì: 9-13/16-19. info: 0881-814041/42; e-mail:museo@comune.foggia.it
Nicola Liberatore nasce a S. Marco in Lamis nel 1949, sul Gargano, dove trascorre la sua infanzia e parte dell’adolescenza. Proprio sul Gargano ha le sue prime esperienze da insegnante. Vive a Foggia.
Negli anni’70 ha frequentato l’Accademia di Belle Arti, si abilita in Disegno e Storia dell’Arte,
inizia ad esporre in spazi pubblici e privati. Dall’84’ è tra gli artisti del Laboratorio Artivisive di
Foggia. Collabora alle iniziative di Spazio 55-arte contemporanea, Foggia.
Nel 2004 i critici L. Caramel, T. Carpentieri, P. Marino, gli conferiscono il Premio Paolo VI nell’ambito della Terza Triennale d’Arte Sacra di Lecce. Nello stesso anno, è invitato dal critico G.Di Genova nella mostra Luce, vero sole dell’arte, presso il Museo d’Arte delle Generazioni Italiane del’900 “ G. Bargellini”, Pieve di Cento-Bologna. È presente nelle Collezioni Permanenti dello stesso Museo e nel volume “Storia dell’Arte Italiana del ’900-Generazione anni quaranta”, Edizioni Bora-Bologna 2009, curato dallo stesso critico.
È invitato nella Rassegna promossa da Padiglione Italia, 54ª Biennale di Venezia, Palazzo delle Esposizioni - Sala Nervi - Torino ed è presente nel relativo volume “ Lo Stato dell’Arte” a cura di Vittorio Sgarbi.
È tra gli artisti premiati alla XII Biennale dell’acquarello di Albignasego (Padova).
Nel 2013 è invitato a Napoli alla Rassegna Paleocontemporanea, a cura di Holger Milkau.
Nell’ambito dei festeggiamenti dell’Esaltazione della Santa Croce, è invitato dal Comune di Collecchio (Parma), in settembre-ottobre 2013, ad esporre a Villa Soragna in una mostra personale, Nicola Liberatore, il sacro, l’uomo, l’arte, a cura di Guido Pensato.
È invitato dalla Galleria Fiber Art and.., Milano, nella mostra d’arte contemporanea Merletti e dintorni/frammenti, citazioni, evocazioni, maggio 2014-Rosignano Monferrato (Alessandria).
È invitato ad esporre dal 25 giugno al 30 settembre 2014, presso il Rettorato dell’Università degli Studi di Foggia.
martedì 4 novembre 2014
Una mostra dedicata a Domenico Caldara, pittore di corte e ritrattista a Napoli
E´ stata presentata questa mattina alla Stampa la mostra intitolatapromossa ed organizzata dalla Fondazione Banca del Monte di Foggia, in collaborazione con il Comune di Foggia e con il patrocinio della Regione Puglia, della Banca della Campania - Gruppo BPER-Banca Popolare dell´Emilia Romagna.
Ad illustrare l´importanza della mostra c´erano il presidente della Fondazione Banca del Monte, Saverio Russo; il direttore generale della Banca della Campania Antonio Rosignoli; l´assessore del Comune di Foggia Sergio Cangelli; Gloria Fazia, direttrice del Museo civico di Foggia, e Francesco Picca, Francesco Picca, responsabile della Pinacoteca Civica "Michele de Napoli" di Terlizzi, uno dei due curatori della mostra (l´altro e´ Luisa Martorelli della Soprintendenza speciale per il Patrimonio storico artistico e etnoantropologico e Polo museale di Napoli, responsabile Ufficio vincoli e catalogo della direzione Museo di San Martino).
La conferenza stampa e´ stata programmata nei locali della direzione foggiana della Banca della Campania (gia´ Banca del Monte e, ancora prima, dimora gentilizia della famiglia Siniscalco-Ceci) perché la decorazione del soffitto della stanza scelta e´ costituita da un affresco di Domenico Caldara, il "Parnaso". Una rara occasione, per vedere dal vivo l´opera, custodita in un locale abitualmente chiuso al pubblico. Il "Parnaso", comunque, sara´ visibile anche in mostra, attraverso una riproduzione fotografica e alcuni "studi" per la realizzazione, disegnati dallo stesso Autore.
In apertura, il direttore Rosignoli ha sottolineato la sensibilita´ da sempre mostrata dalla Banca della Campania -che presto confluira´ in BPER- per le iniziative di carattere culturale e sociale. Da questa sensibilita´, spesso concretizzata con il finanziamento a iniziative in quei settori, e´ derivato il sostegno alla mostra su Caldara. «D´altra parte», faceva notare Rosignoli, «la nostra attenzione per questi aspetti e´ dimostrata anche dalla cura con la quale abbiamo restaurato il palazzo che ci ospita, rispettando arredi e decorazioni originali proprio in segno di rispetto per la cultura del territorio in cui operiamo». Rosignoli ha concluso assicurando che anche le modifiche di assetto della proprieta´ dell´istituto di credito non modificheranno l´atteggiamento riguardo agli interventi nel sociale e nel campo culturale.
Il presidente Russo ha accennato alla vita e all´opera di Caldara, nato a Foggia nel 1814, ricordando la sua fama di ritrattista, fedele alla tradizione dei modelli stilistici accademici appresi nel periodo della sua formazione artistica, iniziata a Napoli, nel 1839, grazie all´aiuto economico del conte Varo di Troia e perfezionata con il pensionato artistico a Roma, finanziato dalla Provincia di Capitanata.
Perfezionista del colore, Caldara fu chiamato ad eseguire i ritratti per le famiglie Vonwiller, Varo, Jannuzzi, Ceri e Spagnoletti Zeuli. Ottenne la stima e la protezione di diversi esponenti della nobilta´ e persino di alcuni membri della stessa famiglia reale, grazie ai quali raggiunse l´ambito ruolo di pittore di Corte per i Borbone.
«Non abbiamo voluto realizzare una mostra localistica, celebrativa di un artista locale», ha sottolineato Russo. «Abbiamo, invece, coronato una approfondita ricerca scientifica sul pittore foggiano, inserendone l´opera nel panorama della cultura artistica dell´800». Il presidente della Fondazione ha espresso l´auspicio che la mostra possa uscire dai confini territoriali: «Abbiamo esaminato attentamente il panorama dell´offerta in tema espositivo e possiamo affermare che quella su Caldara sara´ la mostra piu´ importante dell´anno sull´arte dell´800, sicuramente in Puglia, e non abbiamo notizie di iniziative di rilievo per il 2015. Per questo speriamo che il nostro evento attragga a Foggia visitatori anche da altre regioni».
Il presidente Russo ha concluso ricordando il catalogo che sara´ presentato in occasione dell´inaugurazione. Un volume pregiato, sia sotto il profilo dei contenuti che delle immagini, per non parlare della cura grafica che sempre caratterizza i volumi della Grenzi Editore di Foggia.
L´assessore Cangelli ha portato il saluto della citta´ a nome del sindaco Franco Landella e ha voluto esordire con un ringraziamento alla Fondazione per l´instancabile opera di promozione culturale e di sostegno sociale profusa sul territorio. Accanto al valore storico-artistico della mostra, Cangelli ha sottolineato il messaggio costruttivo di una iniziativa che mette in luce personaggi di rilievo del passato cittadino che possono rappresentare un esempio per le giovani generazioni ed innescare processi virtuosi di progresso per la comunita´ foggiana.
La direttrice Fazia ha ricordato l´importante mostra su Francesco Saverio Altamura, organizzata due anni fa dalla Provincia, che rivelo´ aspetti della vita e della produzione artistica del grande pittore foggiano sconosciuti in precedenza. «L´auspicio», ha detto,«e´ che anche la mostra su Caldara possa portare questi nuovi contributi di conoscenza, precisando meglio quella figura di pittore legato alla tradizione pittorica coeva, mite di carattere, che visse i fasti e il declino della dinastia dei Borbone cui era legato». La dottoressa Fazia ha ricordato che il Museo civico ha contribuito alla mostra con 19 tra tele e disegni che sono patrimonio dell´istituzione culturale da quando, negli anni ´30 del '900, prese ad acquistare in gran numero le opere dei suoi artisti piu´ rappresentativi disperse in collezioni private o a disposizione sul mercato.
Francesco Picca ha raccontato tutto il suo orgoglio professionale per aver lavorato con Luisa Martorelli, «la piu´ importante studiosa della pittura dell´800 che abbiamo in Italia», ha detto. Insieme, hanno allestito una mostra di profondo valore scientifico, che offre un significativo prospetto della concezione artistica dell´Autore e dei modelli di riferimento in voga nella Napoli pre-unitaria, legati ancora al classicismo di Guido Reni e del Domenichino.
Le ricerche, ha rivelato Picca, sono durate oltre un anno e hanno impegnato diversi collaboratori nella consultazione di documenti negli archivi storici di Foggia, Napoli, Lucera, oltre che negli archivi privati dei discendenti di Caldara: un lavoro che ha permesso di ricostruire dettagliatamente la sua attivita´ e ha chiarito alcuni interrogativi che ancora esistevano sulle sorti dell´artista alla caduta del regime borbonico. «Non furono solo ragioni politiche a determinare il calo di interesse per l´opera di Caldara», ha sottolineato il curatore. «Contribui´ anche il cambio dei gusti che, negli anni ´60 dell´800 vide imporsi nuovi canoni introdotti da artisti di valore come Domenico Morelli: non piu´ soggetti stereotipati, di genere storico o mitologico, ma maggiore attenzione per temi sociali e politici legati all´attualita´».
Eppure, ha ricordato ancora Picca, Caldara non fu completamente dimenticato, dopo l´Unita´ d´Italia. Ancora nel 1861 venne chiamato a rappresentare la pittura italiana nella grande esposizione di Firenze. Prosegui´ anche nella sua attivita´ di ritrattista per la nobilta´ e l´alta borghesia e rimase a Napoli fino alla morte, avvenuta nel 1897.
Per la mostra sono state selezionate poco meno di 70 opere -delle circa 200 che erano menzionate nelle carte private dell´artista- che saranno esposte dal 15 novembre 2014 al 17 gennaio 2015 in due sedi: la galleria della Fondazione Banca del Monte di Foggia (via Arpi 152) e il Museo Civico di Foggia (Piazza Nigri 1).
L´inaugurazione e´ fissata per sabato 15 novembre, alle ore 18, nella sede della Fondazione Banca del Monte (via Arpi, 152). In programma, i saluti di Saverio Russo, presidente della Fondazione; Franco Landella, sindaco di Foggia; Silvia Godelli, assessore al Mediterraneo della Regione Puglia, e Alberto Limone, Capo Area territoriale Foggia della Banca della Campania. Seguiranno gli interventi di Luisa Martorelli e Francesco Picca, curatori delta mostra.
L´ingresso alle sedi espositive sara´ gratuito (presso il Museo civico di Foggia la gratuita´ e´ assicurata solo per la visita alle sale riservate alla mostra). Sara´ anche possibile prenotare visite guidate, telefonando alla sede della Fondazione Banca del Monte di Foggia, in orari di ufficio, al numero 0881.712182 o inviando una mail a segreteria@fondazionebdmfoggia.com
Orari di visita:
Fondazione: dal lunedi´ al sabato, dalle 9 alle 12.30 e dalle 17 alle 20. Domenica e festivi chiuso; chiusa nei pomeriggi del 24 e del 31 dicembre.
Museo Civico: per tutta la settimana, la mattina dalle 9 alle 13. Martedi´ e giovedi´ anche nel pomeriggio dalle 16 alle 19.
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venerdì 3 ottobre 2014
Andrea PAZIENZA in Fumettology 1a parte
Tra i fumettisti italiani più talentuosi di sempre, Andrea Pazienza (1956-1988) ha esordito nel 1977, a soli 21 anni, con Le straordinarie avventure di Pentothal, in cui mostra le contraddizioni della sua generazione sullo sfondo di una Bologna in piena agitazione studentesca. Lo stile anarchico, che contraddistingue il tratto e la scrittura di questa sua prima opera, si rivela successivamente nelle strisce pubblicate sulle riviste Il cannibale e Il male. Nel 1980 fonda il mensile Frigidaire, sulle cui pagine dà vita a Zanardi, quasi un suo alter ego, disilluso liceale senza sogni e ideali, perennemente annoiato, capace solamente di compiere cattive azioni con gli amici Petrilli e Colasanti. Seguono nuovi iconici personaggi come Francesco Stella, L’investigatore senza nome e soprattutto Pert, trasposizione bonariamente ironica del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Nel 1985 è la volta dell’eroinomane Pompeo, ritratto tragicamente ne Gli ultimi giorni di Pompeo (1987), il libro più maturo di Pazienza che, per una singolare e crudele coincidenza tra vita e opera d’arte, diventa il suo testamento letterario: l’autore muore per overdose nel 1988, a 32 anni.
martedì 22 luglio 2014
Luigi SCHINGO: una testimonianza
Dal discorso commemorativo tenuto dal Magnifico Rettore della Università di Bari, prof. Pasquale Del Prete, in ricordo dell’Artista Luigi Schingo, il giorno 15 0ttobre 1977, ad un anno dalla sua scomparsa, nell’Auditorium della Biblioteca provinciale di Foggia: “…Egli, dunque, è passato, lasciando nell'opera della Sua vita, l'immagine splendente della Sua terra, la luce vivida dei Suoi colori, i bagliori incomparabili dei tramonti del Gargano, riflessi nelle trasparenze cristalline del Suo mare e sempre, dovunque, esprimendo i valori stupendi della Sua visione nelle forme semplici e pure, nella commossa serenità di una nobile sintesi stilistica che fa di Lui l’inconfondibile pittore del paesaggio dauno”.
Ho conosciuto il prof. Luigi Schingo in treno nel marzo del 1963: con mio zio Mario andavo a Bari per fare visita a dei parenti.
Il professore, così tutti lo chiamavano, aveva 72 anni, anziano ma in forma, piccolo di statura, magro, indossava un elegante cappotto color cammello che lo rendeva più simile ad un uomo di affari, un commendatore milanese più che un artista; anche il suo cappello era di buona fattura e, come si vede sui libri di Storia dell’architettura moderna, molto somigliante all’architetto Frank Lloyd Wright con cui aveva in comune i capelli bianchi di lunghezza insolita in quei tempi in cui i Beatles non erano noti.
Il motivo del viaggio del professore era quello di essere presente, per incontrare amici e visitatori, nella Galleria Niccolò Piccinni, corso Vittorio Emanuele, in pieno centro di Bari, dove si svolgeva una sua mostra personale di pittura e di scultura.
Fummo invitati dal professore, mio zio ed io, a visitare la sua mostra, dovere a cui non ci sottraemmo, e, nel pomeriggio, visitammo questa bella sala di esposizione con le pareti piene di quadri ad olio, a pastello ed acquarello, tutti paesaggi del Tavoliere di Puglia ed angoli della Bari vecchia.
Pochi anni dopo, ebbi la fortuna di visitare lo studio del professore in via Fortore, ai limiti del centro abitato di San Severo: un intero isolato di circa 450 metri quadrati, occupato per metà da un fabbricato di un solo piano e per l’altra metà lasciato a giardino privato, circondato da un alto muro di recinzione.
Il fronte dell’edificio era simmetrico ed al centro vi era situato il portone di ingresso; i pochi privilegiati ammessi oltrepassavano la soglia ed accedevano ad un atrio decorato con gli stessi elementi architettonici che il professore aveva realizzato nel Teatro comunale di San Severo.
L’edificio era diviso in due parti: a sinistra, un corridoio, con le pareti coperte di quadri dal soffitto al pavimento, conduceva ad alcune camere arredate con divani e librerie ed, in fondo, al vasto studio della scultura e, di lato, allo studio della pittura.
Dalla parte opposta si raggiungeva il locale destinato al carico e scarico delle casse da imballaggio utilizzate per il trasporto delle preziose opere del professore: alcune erano di ritorno dalla mostra personale a Roma o a Milano, altre provenivano da un concorso o erano modelli di gesso in partenza per la fonderia.
Questa attività era tenuta lontana dalle stanze destinate al lavoro creativo a causa del rumore ed erano frequentate soprattutto dagli addetti alla confezione delle casse: un lavoro faticoso ma indispensabile, simile a quello di una agenzia specializzata in trasporti.
Lo studio di scultura era l’ambiente di lavoro di maggior fascino per il visitatore: era stracolmo di modelli in gesso di opere già realizzate in pietra di Apricena, marmo bianco di Carrara o in bronzo e, sulle mensole delle pareti, si affollavano busti di uomini e donne, giovani e vecchi, personalità civili, religiose o militari, mentre su dei piedistalli erano poggiate le opere in fase di modellazione, a tutto tondo o a bassorilievo, fatte di argilla umida e ricoperte da fogli di plastica per evitarne la rapida essicazione od opere in fase di sbozzatura con il sistema dei punti e l’aiuto di compassi; questo lavoro veniva eseguito da provetti assistenti come il fidato Michele Urbano ed il giovane Antonio Priore, fior fiore degli artigiani di quel tempo in San Severo.
Il professore era molto orgoglioso del suo lavoro di scultore monumentale, forse meno poetico o piacevole delle opere a pastello o degli acquerelli, per cui viene apprezzato comunemente, ma di maggiore soddisfazione professionale per la grande quantità di lavoro e le competenze tecniche che la scultura richiede.
Lo studio di pittura era molto spazioso, bene illuminato dalla luce naturale proveniente dalla vetrata sul giardino, più intimo ed accogliente anche per lo stesso professore che qui era solito sbrigare la fitta corrispondenza e ricevere amici, galleristi, vescovi, prefetti, politici e letterati oltre che a dipingere.
Alle spalle del suo tavolo personale, ingombro di carte, erano collocati sulla parete un autoritratto giovanile ed una riproduzione in gesso delle sculture in bassorilievo del Partenone di Atene, mentre, di fronte a lui aveva voluto il busto a tutto tondo, in pietra di Apricena, dell’adorata madre Felicia Danese; questa opera venne in seguito donata dall’autore, insieme ad altre opere di carattere familiare, al Museo civico di Foggia, attualmente sono ospitate nella Pinacoteca comunale, dove costituiscono un insieme di sculture e di pitture notevole per qualità e omogeneità di contenuto.
Il professore lavorava con metodo, come si conviene ad un serio professionista: niente in lui poteva far pensare ad un artista strampalato o eccentrico: la sua vita era semplice, riservata e modesta, non si era sposato e viveva con due sorelle in una casa di corso Gramsci, andava nella chiesa di San Giovanni Battista ogni giorno per ascoltare la messa e ricevere la Comunione, poi si recava al lavoro nel suo studio fino a mezzogiorno, ora in cui, dopo avere raccolto un mazzolino di fiori nel suo giardino, a piedi, generalmente accompagnato da qualche amico, si recava a casa per il pranzo; al pomeriggio, era di nuovo al lavoro in studio fino alle venti e trenta, ora in cui il lavoro terminava ed erano ammessi visitatori e parenti.
Ricordo che, sulle pareti dello studio, erano affissi cartellini discreti ma bene in vista, che invitavano le persone presenti ad un comportamento adeguato al luogo: invitavano al silenzio, ritenuto fonte inesauribile di virtù e presupposto indispensabile della concentrazione mentale di chi non voleva essere distratto dalla sua attività creativa: in poche parole, bisognava lavorare in silenzio e, ad ogni modo, stare zitti.
Il professore era sempre vestito in modo impeccabile, sia d’estate che in inverno, era in giacca e gilet, camicia, cravatta; quando dipingeva o modellava, indossava un camice, pulito, senza macchie di colore; mentre, d’inverno, per sopportare il freddo, indossava una specie di panciotto di pelle di pecora rivoltata, forse una sua invenzione, molto simile ai montoni che si usano oggi.
Non aveva niente dell’artista tormentato o maledetto: era sempre sereno e intento al suo lavoro; ad eccezione delle Domeniche, il professore lavorava sempre, anche quando era in vacanza portava con sé, che andasse al mare o in montagna, la sua prediletta scatola in legno dei pastelli e con quella dipingeva all’alba, al mezzogiorno ed al tramonto.
Una curiosa abitudine era quella del quadro da fare a Capodanno o in occasione del suo compleanno: perché anche alla sua età, così diceva, continuava ad imparare e solo così, mettendosi alla prova e confrontando i risultati, poteva rendersi conto dei suoi progressi…
Interessante è la descrizione di Gaetano Cristino, nel libro dedicato alla collezione d’arte dell’Istituto tecnico “Pietro Giannone” di Foggia, del quadro “Trebbiatura”, che viene analizzato sviscerandone il grande interesse pittorico e documentaristico: “ Il documento è nella veduta dal vero che Luigi Schingo ci consegna, con la descrizione di una giornata estiva della campagna di Capitanata, presumibilmente nei primi decenni del Novecento, con i braccianti intenti ad alimentare di covoni la trebbiatrice meccanica e sullo sfondo le mete di paglia, verso le quali conduce la diagonale prospettica. Non è il solito paesaggio assolato, c’è anche del prato verde e un albero fronzuto vicino al cascinale. Siamo forse vicini a quel flessuoso e gaio Subappennino di cui egli stesso parlava. La lunga e sottile ciminiera della trebbiatrice sporca di fumo nerastro il cielo cilestrino. Gli inconvenienti del progresso. Pittoricamente l’opera è molto vicina alla tradizione paesaggistica napoletana, quella di Giacinto Gigante, i cui influssi dovevano essere ancora intensi quando il giovane Luigi Schingo andò a studiare nella capitale partenopea. Ma non c’è il gusto della riproduzione fedele del “panorama” che spesso faceva scadere le opere dei pittori della Scuola di Posillipo. Schingo non indulge al particolare, alla calligrafia; sente la suggestione impressionista e costruisce la scena con poche pastose pennellate di colore, questo sì, dal giallo ocra alle terre al verde smeraldo al celeste, prezioso e luminoso come quello che aveva caratterizzato l’Ottocento napoletano. L’opera non è datata, ma considerando il soggetto, la tecnica utilizzata e lo stato di conservazione va sicuramente ascritta alle opere realizzate dal Maestro nei primi decenni del Novecento.” .
Francesco Sessa
Luigi SCHINGO: gli anni dell’isolamento e del declino
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