lunedì 10 dicembre 2012
IL MEDITERRANEO di Pedro CANO, sipario invisibile e protagonista della Storia
Ai Mercati di Traiano in mostra le opere di Pedro Cano,
un itinerario nelle meraviglie che nasconde ed esibisce il Mediterraneo,
viste e rielaborate con gli occhi dell’artista, che ce le racconta in un gioco di seduzioni cromatiche e mistero
Un viaggio attraverso nove città raccontato da 54 opere in esposizione. E’ la mostra
“Mediterranea. Pedro Cano” - 33mila visitatori nei due mesi di permanenza a Cartagena (Murcia,Spagna) - ospitata ai Mercati di Traiano dal 28 settembre 2012 al 13 gennaio 2013, promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali,
con l’organizzazione e i servizi museali di Zètema Progetto Cultura, un percorso della memoria in cui Pedro Cano rappresenta tutti i colori, la storia e i segreti di un Mediterraneo, sipario invisibile del suo viaggio dell’anima.
Una mostra affiancata da un percorso di attività, condotte in sette giornate dallo stesso artista,iniziando dal 29 e 30 settembre, Giornate Europee del Patrimonio. In questi sette appuntamenti Pedro Cano accompagnerà i visitatori in percorsi guidati, mostrerà ai bambini l’arte del colore e della forma. Tutto per rendere ancora più coinvolgente la fruizione del percorso espositivo.
Cosa racconta “Mediterranea. Pedro Cano”? Tre isole – Maiorca, Patmos, Sicilia – e sei città – Alessandria, Cartagena, Istanbul, Napoli, Spalato, Venezia – per un viaggio individuale dell’artista alla ricerca della propria storia in un gioco di affetti e ricordi selezionati.
Ed ecco i vecchi alfabeti di Alessandria, i ritratti di Alessandro Magno ripresi da marmi e antiche monete, mappe del porto quando la città aveva ancora la parvenza di sosta per carovane.
A Cartagena l’attenzione di Pedro Cano è dedicata al sale, legato per secoli a questa città, in quanto si dice che sia stato uno dei tesori che volevano conquistare i romani quando arrivarono in questo luogo: tonni e polipi che si asciugano al vento convivono con memorie di esili anfore.
Istanbul vuol dire Santa Sofia, gran tempio del cristianesimo eretta per volere di Giustiniano,l’opera più importante che conserva oggi questa città, incontro dell’architettura cristiana e islamica.
L’attenzione dell’artista non si è concentrata sul caleidoscopio di mercati spezie e tappeti che si mescolano con argento e sete colorate, ma su questo spazio millenario prototipo di tuttal’architettura religiosa del mondo islamico.
Le grate di un chiostro della certosa di Valldemossa – tra le colline circondata da orti - unica rappresentazione di Maiorca, ci rimandano il frangere delle onde anche se da lì non si vede il mare. Una rappresentazione che ricorda una Maiorca fatta non solo di marinai ma anche di un’agricoltura fonte di alimentazione, perno principale di questo giardino interno.
Napoli capitale del Regno delle Due Sicilie. Napoli con il sole che invade alcune case e ne dimentica altre. Ma è la Smorfia – con le novantuno raffigurazioni numeriche - la sua vera faccia e Pedro Cano rappresenta con altrettante immagini questa specie di enciclopedia naturale della città, aprendoci la porta di un mondo di tradizioni fantastiche.
L’isola greca di Patmos viene descritta da ghirlande, ispirandosi alla tradizione che il primo giorno di maggio fa raccogliere nei campi rami di ulivo, grano, uva, rose, limoni, lavanda per decorare con queste composizioni le porte delle case, una sorta di buon augurio dalla spiritualità antica pergli abitanti dell’isola che celebrano i doni che la terra offre in quel periodo.
Le memorie greche della Sicilia sono raccontate dal confronto con la scultura: la Venere di Siracusa e il calore della pelle rappresentato dalla pietra e la carnalità del suo gesto, il Satiro Danzante – ritrovato dopo secoli nei fondali marini di Mazara del Vallo – col corpo che pare spiccare un salto nell’aria, il Giovane di Mozia conservato in un museo circondato da alberi dipino, che incanta per l
a modernità dell’enorme pezzo di marmo bianco che lascia intravedere il
corpo di un uomo.
Spalato, prima dimora e mausoleo dell’Imperatore Diocleziano, poi rifugio, infine città che oggi ospita quasi tremila persone. Ed ecco immagini di labirinti di case e palazzi, un luogo che non ha spazi esterni o interni ma racchiude entrambe le opzioni, le raffigurazioni delle quattro porte, ognuna con il nome di un metallo, che conducono sempre nella città-palazzo o palazzo-città.
Impossibile – dice Pedro Cano – dipingere Venezia dopo Turner. Bisognava individuare uno spunto molto veneziano ma non banale. E lo ha trovato nei colori malinconici della laguna e delle sue paline, i pali che spuntano dall’acqua, a volte attracco per le gondole ma spesso solitari, come “vecchi specchi imprigionati negli oscuri palazzi dei canali che, non sono più guardati da nessunoe hanno dimenticato di riflettere le immagini”.
Nove luoghi della memoria, nove rielaborazioni profonde e affascinanti del vagare di un artista,Pedro Cano, che diventano, da appunti di viaggio, testimonianze di civiltà, di antichità ma anche di futuro. Un Mediterraneo che trova nelle radici della propria storia anche quella dell’artista e del
suo eterno vagabondare.
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giovedì 6 dicembre 2012
La Patria, l'Arte, la Donna. Francesco Saverio Altamura e la pittura dell'Ottocento in Italia
Per la prima volta, in un percorso espositivo doppio, che si snoda tra Palazzo Dogana e il Museo Civico, la città di Foggia celebra uno dei suoi più illustri cittadini: il pittore Francesco Saverio Altamura (Foggia 1822- Napoli 1897).
La mostra, dal titolo “La Patria, l’Arte, La Donna. Francesco Saverio Altamura e la pittura dell’Ottocento in Italia”, è stata inaugurata sabato 10 novembre 2012 e sarà visitabile fino al 12 gennaio 2013. Un grande evento fortemente voluto dall’Amministrazione provinciale sia a coronamento delle numerose manifestazioni organizzate per i 150 anni dell’Unità d’Italia, sia per offrire alla Capitanata una storica occasione dal profilo culturale estremamente elevato. “Un artista ed un patriota, un pittore ed un intellettuale. Quella di Francesco Saverio Altamura è una figura complessa, contraddistinta da una carica vitalista e da un costante impegno civico e politico.Ed è proprio così che abbiamo provato a descrivere un artista le cui radici affondano nella storia della provincia di Foggia. Un figlio del nostro territorio che ha scritto alcune delle pagine più belle della pittura dell’Ottocento italiano, le cui opere sono ormai uno tra i patrimoni più preziosi delle collezioni d’arte dei musei italiani ed europei. La mostra “La Patria, l’Arte, la Donna” raccoglie dunque il meglio della produzione artistica di Altamura, snodandosi attraverso numerose sezioni che rappresentano un ideale sentiero tra la sua formazione accademica, il suo spirito patriottico, l’influsso del naturalismo, solo per fare qualche esempio”, ha evidenziato la vicepresidente ed assessore provinciale alla Cultura, Billa Consiglio.
Organizzata e promossa dal servizio Politiche culturali della Provincia di Foggia in collaborazione con la Soprintendenza speciale “Psae” e per il polo museale della città di Napoli e il Comune di Foggia, con il contributo della Regione Puglia, della Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia e della Fondazione Banca del Monte di Foggia, la mostra vede l’autorevole adesione del Presidente della Repubblica e sarà composta da 90 opere. Ai dipinti di Altamura saranno affiancati quelli di numerosi artisti, maestri e compagni di lavoro dell’artista foggiano, che documentano un sodalizio artistico con la scuola napoletana di nuova formazione verista (Domenico Morelli e Michele De Napoli) e l’interesse per il Naturalismo dei pittori toscani (Serafino de Tivoli, Cristiano Banti, Vincenzo Cabianca).
La mostra si avvarrà della grande raccolta conservata presso la Pinacoteca di Foggia e di numerosi prestiti provenienti dai musei italiani oltre che da collezionisti privati: dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma al Museo di Capodimonte e Museo di San Martino di Napoli, dalla Pinacoteca Provinciale di Bari al Palazzo Reale di Caserta, dal Museo Civico di Foggia alla Pinacoteca Michele De Napoli. Infine la fondazione “Istituto Matteucci” di Viareggio ha concesso il prestito di celebri dipinti macchiaioli che saranno esposti nella sezione dedicata al Naturalismo toscano.
Palazzo Dogana
Piazza XX Settembre, 20
Foggia
orari di apertura e chiusura:
martedì – giovedì - venerdì – sabato – domenica h. 9.00 – 13.00 / h. 16.00 – 20.00
mercoledì h. 9.00 – 13.00
chiusura settimanale: lunedì
www.francescosaverioaltamura.it
giovedì 11 ottobre 2012
L’Italia di Le Corbusier
18 ottobre 2012 – 17 febbraio 2013
a cura di Marida Talamona
Architetto, scultore, pittore, geniale pensatore del suo tempo, creatore di un’architettura tagliata sui bisogni sociali, uno dei padri della moderna urbanistica e maestro del Movimento Moderno: è Charles-Edouard Jeanneret-Gris meglio noto come Le Corbusier. A lui il MAXXI Architettura dedica la mostra L’Italia di Le Corbusier.
Seguendo un filo cronologico e tematico al tempo stesso, attraverso 320 documenti originali e 300 fotografie, l’esposizione presenta i significati e i ruoli dell’Italia nella formazione artistica e nella concezione architettonica di Le Corbusier ripercorrendo il mutare dei punti di vista e degli interessi con i quali l’artista guarda alla cultura italiana nel corso della sua vita: dai primi viaggi agli inizi del Novecento ai progetti, mai realizzati, per il Centro Calcolo Olivetti di Rho e per l’Ospedale di Venezia degli anni Sessanta.
Il progetto espositivo prende le mosse dai quattro successivi viaggi nel nostro paese che Le Corbusier compie negli anni tra il 1907 e il 1923, cercando di comprendere dapprima la fisionomia delle grandi culture artistiche – dal tardo-antico al Rinascimento – e poi lo spirito costruttivo della civiltà romana.
Sarà poi illustrata la ricerca urbanistica compiuta negli anni Trenta da Le Corbusier e i relativi tentativi di attuare le proprie idee sulla città contemporanea cercando di ottenere da Mussolini, quale autorità attiva nella fondazione di nuove città, un incarico in Italia. Alla ricerca spasmodica di un committente sono ascrivibili anche i contatti con la FIAT e con Adriano Olivetti, espressioni di una realtà industriale in crescita e di grande modernità.
Sarà dedicata particolare attenzione anche alla figura di Le Corbusier pittore, all’esperienza della rivista L’Esprit Nouveau, che egli dirige insieme al pittore purista Amedeé Ozenfant tra il 1920 e il 1925, ai rapporti con le riviste italiane e alla querelle tra purismo e metafisica. Questi temi saranno occasione per mostrare l’opera pittorica di Le Corbusier negli anni del Purismo accanto a quadri di Carlo Carrà, Giorgio Morandi e Gino Severini.
Nel secondo dopoguerra il maestro, di fama ormai internazionale, tornerà più volte in Italia: a Bergamo in occasione del VII CIAM (1949), a Milano invitato dalla Triennale al Convegno De Divina et Humana Proportione, (1951) a Venezia alla Conferenza Internazionale degli Artisti e alla scuola estiva dei CIAM (1952), a Torino (1961), a Firenze dove nel 1963 è allestita la prima grande esposizione italiana dedicata all’opera corbusiana.
Saranno infine presentate le occasioni progettuali più concrete che hanno coinvolto Le Corbusier in Italia nel secondo dopoguerra ossia i progetti per il Nuovo Ospedale di Venezia e per il Centro Calcolo Olivetti a Rho, entrambi non realizzati anche a causa della scomparsa dell’architetto nel1965. Questi rappresentano importanti testimonianze della poetica architettonica degli ultimi anni della carriera lecorbusieriana, rese quanto mai vive dai disegni e dai modelli originali. Un ricchissimo apparato fotografico accompagna ciascuna sezione della mostra offrendo una lettura integrata di un Le Corbusier “dietro” Le Corbusier, ossia dell’uomo alle spalle di ogni sua manifestazione artistica o architettonica
lunedì 8 ottobre 2012
Marco CINGOLANI
Marco Cingolani nasce a Como nel 1961 e si trasferisce a Milano giovanissimo, nel 1978. Inizia a frequentare l’ambiente creativo underground, in cui l’arte si mischiava con la moda e la musica punk. In quegli anni si stava formalizzando a Milano una nuova sensibilità artistica le cui radici non affondavano più nella storia dell’arte e nella citazione ma praticava la manipolazione critica della realtà e delle sua comunicazione attraverso i mass media.
L’immagine veniva decontestualizzata, sottratta all’uso del senso comune, stravolta radicalmente, quasi schernita. Il lavoro di Marco Cingolani, sin dagli esordi, ha sempre cercato di annullare il potere normativo delle immagini mediatiche, sottoponendole alla cura radicale dell’artista, certo che l’arte offra un punto di vista decisivo per l’interpretazione del mondo. In questo contesto sono nati i quadri delle Interviste, dove personaggi famosi per la loro riservatezza venivano sommersi dai microfoni e le famose serie dedicate all’Attentato al Papa e alla tragica vicenda di Aldo Moro.
Successivamente i quadri di Cingolani hanno dissipato la riconoscibilità dei personaggi, pur mantenendo forte e totale il legame con la storia e la narrazione. Un’arte di immagine che non censura lo sguardo ma lo dispiega verso l’eterogeneità delle forme. Arte come alterità che si nutre di presente. Arte come manifestazione che ti coglie di sorpresa, esattamente come la vita.
“Sono nato nel 1961 a Como, ho vissuto la gioventù a Maslianico sul confine con la Svizzera ...
Sono un pittore e considero la pittura non un mezzo tra i tanti ma lo scopo: il basic instinct dell' artista è cambiare la pittura. A cambiare i soggetti e le immagini ci pensa già la società, cambiare la pittura è difficile, per questo ci vuole l'artista. Così il Pittore diventa Associato di Dio nel mistero della creazione. Le mie grandi passioni sono la Bibbia e la cronaca nera, anzi vera. Il testo delle sacre scritture è il più grande libro di cronaca mai scritto: omicidi, tradimenti, amore e perdono che presentano i tratti immutabili dell'uomo.
Nel fatto, anzi nel fattaccio come nel melò, c'è la massima concentrazione di spiritualità ed è da questo che parto per realizzare i miei quadri.
Agli inizi degli anni novanta dipingevo "L'attentato al Papa", "Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro" oppure la serie delle "Interviste" dense di personaggi compressi in uno spazio senz' aria.
Erano dei quadri che partivano da precisi fatti di cronaca con una totale carica simbolica e sovrastorica : l'attentato all'Occidente nella figura del Papa, e il corpo di Moro in mezzo alla folla, come il corpo di Cristo, vinto e sconfitto. I colori erano timbrici, il disegno saldo, e il piglio grottesco.
Da alcuni anni lo stile è lentamente mutato, fino ad arrivare negli ultimi quadri dove la struttura non è più cercata nel disegno, ma costruita attraverso il colore.
Enormi campiture di rosso fanno da letto a particelle di colore puro, dove anche l'ombra diventa luce.
L'immagine viene costruita solo attraverso la pittura, come se il quadro si fosse formato da solo.
Le osservazioni dal vero, i riferimenti biblici, il dialogo con le opere del passato, vengono sommerse e mescolate dall' onda piena ed ispirata della pittura."
MOSTRE PERSONALI
2011
“Quadri piccoli, medi, grandi e grandissimi”, Museo Civico Castelbuono (Palermo).
2010
“Comics”, Fotostoria ritoccata d’Italia. Antonio Colombo Arte Contemporanea (Little Circus), Milano.
2009
Padiglione Italia, 53esima Biennale di Venezia
“Percorsi della fede”, Boxart Gallery, Verona
2007
“Finalmente a casa“, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano
“Di che colore sono?”, 51 quadri nuovi sui colori del Potere, Galleria Emilio Mazzoli, Modena, a cura di G. Romano
2004
Galleria Fabj Basaglia, Rimini
2003
“La lunga notte di Paparazzo”, Palazzo della Ragione, Mantova, cat. con testo di L. Beatrice
2002
“Bang Bang”, Palazzo Strozzi, Firenze
“Doppio verso”,Scuderie Aldobrandini per l’Arte, Frascati (Rm), catalogo con testo di R. Gavarro
“I miei poeti, i miei colori“,Galleria Borghese,Roma, catalogo con testi di L. Cherubini, V. Zeichen
“Stropicciarsi gli occhi“, Palazzo della Promotrice delle Belle Arti,Torino
2001
"Società anonima del colore",Boxart, S.Bonifacio (VR)
"I miei migliori amici", Galleria In Arco, Torino
2000
"Ho un appuntamento", Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano, catalogo con testi di A. Nove, M. Cingolani
"Cingolani 1990-2000", MAN-Museo d'Arte di Nuoro, catalogo con testi di L. Beatrice, M. Meneguzzo
"Hotel des etrangers",Istituto francese di cultura, Firenze, con A. Martegani
1999
"Amore a prima vista",Galleria Bagnai, Siena, catalogo con testo di Achille Bonito Oliva
"Tre aeroporti in un giorno",Galleria Majorana, Brescia
1998
"Pittori innamorati",Galleria Raab,Berlino
"Divina Mimesis",Palazzo S.Giovanni in Monte,Università di Bologna, Bologna, catalogo con testi di V. Coen, G. Romano
1997
"Una mostra da leggere",Galleria Biagiotti,Firenze, con testo di R. Caldura
"Museo Laboratorio", Università La Sapienza, Roma, con P. Pusole, catalogo con testo di L. Beatrice
1996
"Inaspettata", Galleria In Arco, Torino, con P. Pusole, catalogo con testo di Luca Beatrice
"Contemporanea 2", Villa Olmo, Como, catalogo con testo di L. Caramel
1995
"Il golfo e l'amore", Galleria Mazzoli, Modena, con A. Martegani
"Terra e cielo da sempre uniti", Galleria Mazzoli, Modena
1994
"La verità", Galleria Loft, Valdagno, catalogo con testo di M. Cingolani
1993
"Rissa all' ONU", Galleria Analix, Ginevra, Svizzera, testi in catalogo Elio Grazioli e Gianni Romano
1992
"Antologica", Galleria Mariottini, Arezzo
"Il disegno e la verità", Galleria Loft, Valdagno(VI), personale con A. Martegani, catalogo con testi di A. Martegani e M. Cingolani
"Documentario", Galleria In Arco, Torino, con M. Kaufmann, catalogo AA.VV.
1991
"Refurtive", Galleria Paolo Majorana, Brescia, catalogo con testo di Giacinto Di Pietrantonio
1990
"I.N.R.I.", Spazio di Via Lazzaro Palazzi, Milano Galleria Diagramma, Milano
1989
Galleria Diagramma, Milano
MOSTRE COLLETTIVE
2010
“Conversazione in una stanza chiusa #1”, Galleria Bianca, Palermo.
“Christmas Rodeo”, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano.
“Forward_Rewind”, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano.
“Quali cose siamo. Terza interpretazione”, a cura di A. Mendini, Triennale Design Museum, Milano.
“Ibrido. Genetica delle forme d’arte”, a cura di G. Di Pietrantonio e F. Garutti.
2009
“Plenitudini”, a cura di A. Zanchetta, Galleria delle Logge e Pinacoteca di San Francesco, San Marino.
“Ditalia. Contemporanei 2009, a cura di M.C. Valacchi. Civica Pinacoteca Amedeo Modigliani, Follonica (GR)
“Appetite for destruction”, a cura di A. Romanini. Museo Nazionale di Villa Guinigi, Lucca.
“Degli uomini selvaggi e d’altre forasticherie”, a cura di V.Siviero. Lab 610 XL, Loc. Servo di Sovramonte (BL)
53esima Biennale di Venezia, Padiglione Italia, Collaudi, Arsenale, a cura di L. Beatrice e B. Buscaroli.
“I was so much older then, I’m younger than that now”; a cura di L. Beatrice, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano.
2008
"Collezione Farnesina" – Experimenta, Palazzo della Farnesina, Roma, a cura di M. Calvesi, L. Canova, M. Meneguzzo, M. Vescovo
"Viva l’Italia, Il racconto delle città tra nascita, sviluppo, crisi. 1948-2008", Museo della città, Palazzo della Penna, Perugia
"Bateau Ivre", Azienda Agricola Icario, Montepulciano (SI), a cura di M. Meneguzzo
2007
"Arcani Maggiori", Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano, a cura di M. Kaufmann
2006
"Ars In Fabula", Palazzo Pretorio, Certaldo (FI), a cura di M. Sciaccaluga
2005
"XIV Quadriennale di Roma", Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma
"Intermedia Painting", Giampiero Biasutti Arte Moderna e Contemporanea, Torino, a cura di L. Beatrice
2004
"Senza Freni!", Galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano
"L’arte in testa", Museo MACI, Isernia, a cura di L. Beatrice
2003
"La pittura come concetto", Associazione culturale Prometeo, Lucca, a cura di L. Beatrice
2002
"De gustibus", Palazzo delle Papesse, Siena
"Premio Michetti", Francavilla al mare (Pe)
2001
"Odissea dell’arte", Museo Revoltella, Trieste
"Sui Generis", PAC, Milano
2000
"Futurama", Museo Pecci, Prato
"Premio Michetti", Francavilla al mare (Pe)
"Arte in giro", Ex Mattatoio, Roma
1999
"The Turn of the Century", Galleria In Arco, Torino
"Pittura Italiana", Palazzo Sarcinelli, Conegliano Veneto
"Omaggi-Oltraggi", Galleria Gianferrari - Galleria Ciocca, Milano
"S.M.A.C.K.", Musée d’Art Contemporaine di Gent, Belgio
"Porta d’Oriente", Palazzo Tupputi, Bisceglie
"Lepisma Saccarina", Magazzino d’Arte Moderna, Roma
"Premio Marche", Reggia Vanvitelliana, Ancona
"Disegno italiano", Magazzini Arte Moderna, Roma
"Arte in Giro", Santuario di Oropa, Oropa, Biella
"Arte Moltiplicata", Pinacoteca Civica, Bagnocavallo
1998
"Due o tre cose che so di loro", P.A.C., Milano
"Mitovelocità", Galleria D’Arte Moderna e Contemporanea, San Marino
"Cronache Vere", Spazio Consolo, Milanov
1997
"Arte all’Arte", sedi varie, Galleria Continua, S.Gimignanov "Arte Italiana degli anni ‘90", Museu d’art contemporain, Valencia, Spagna
"Galleria Biagiotti", Firenze
"Periscopio 1997", Cascina Roma, S.Donato Milanese
"Pensieri scritti a colori", Salone del libro di Torino
1996
"Arte italiana dal 1960", Museo d’Arte Contemporanea, Seoul, Sud Corea
"Carte Italiane", Istituto Italiano di Cultura, Atene, Grecia
"Antologia",Spazio Herno, Torino / Trevi Flash Art Museum, Trevi
"Fuori Uso", Deposito FEA, Pescara
"Il nibbio di Leonardo", Palazzo Pio, Carpi
1995
"The image of Europe", Nicosia, Cipro
"Artist’s Choice", Accademia Americana, Roma
"Oltre la normalità concentrica", Palazzo Zara, Padova
"Dodici pittori italiani", Spazio Herno, Torino
"Fuori uso", Spazio Aurum, Pescara
"CD Room", Galleria Continua, S.Gimignano
1994
"Prima Linea", Trevi Flash Art Museum, Trevi
"Que bien resistes!", Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Arezzo
"Estetica del delitto", Galleria Tossi, Prato
1993
"Pentalogo", Galleria Mazzoli, Modena
"Documentario 2", Spazio Opos, Milano
"La linea dell’immagine", Antico Chiostro di S. Antonio, Perugina
"Segni e disegni", Galleria In Arco, Torino; Loft, Valdagno; Galleria Margiacchi, Arezzo; Galerie Analix, Ginevra
1992
"International Malerwochen", Neue Galerie, Graz, Austria Italiensk Samtidskunst, Skive Kunst Museum, Skive
"Immagini di Pittura", Studio Cannaviello, Milano
"An emerging scene of Italy", Museo del XX secolo, Vienna
1991
"Una scena emergente", Centro per l’Arte Contemporanea L. Pecci, Prato
"Imprevisto", Castello di Volpaia, Radda in Chianti
"La scena", Museum des 20 Jahrhunderts, Wien
1990
"Il teatro degli interni", Castello di Rivara, Rivara
"Absolut Politik", Galleria Diagramma, Milano
1988
"Arte giovane Italiana", Galeria Buades, Madrid
1987
"Ge.Mi.To.", Promotrice delle Belle Arti, Torino
lunedì 24 settembre 2012
Alfredo PAGLIONE. Vissi d'arte e d'amore
Da Tornareccio a Milano il passo è breve per un giovane intraprendente.
Gli esordi come direttore di teatro e organizzatore di eventi musicali
lo proiettano nel vivace mondo culturale della città negli anni Sessanta.
Ma è l’amicizia con Aligi Sassu che gli apre le porte al mondo
delle arti figurative che saranno il suo primo grande amore.
Anzi, il secondo, dopo quello per “la signora delle tartarughe”
Alfredo Paglione nella sua casa di Giulianova
Non è un pittore ma parla della sua vita – e della sua carriera – mescolando i colori e stendendoli sulla tela del ricordo, un grande quadro nel quale convivono, tra stili, tonalità e intonazioni diverse, cinquant’anni di arte e d’amore. Alfredo Paglione apre la sua casa di Giulianova, un piccolo museo della pittura e scultura del secondo Novecento, con la mano fiera sulla maniglia di una porta in legno opera del famoso ebanista Giuseppe Rivadossi: decine di quadrati forati e sapientemente lavorati la compongono, in uno di questi è incastonato un numero, il 32. È il suo numero in effetti, quello che lo ha rincorso per tutta la vita. Da quella porta non si accede più alla famosa Galleria 32, per decenni la mecca di artisti ed intellettuali tra vernici dal sapore internazionale e salotti culturali di prim’ordine (come ricorda il bel libro I due soli, pubblicato nel 2007 da Vallecchi) ma la brillantezza, l’intraprendenza e la costante passione per la bellezza restano le stesse per questo rinomato gallerista partito con tanta curiosità e tanti sogni dal borgo di Tornareccio, nell’Abruzzo chietino, e approdato a Bogotà e poi a Milano per vestire la sua fortuna. Oggi il piglio imprenditoriale del mercante d’arte cede definitivamente il passo alla pazienza generosa del mecenate e del divulgatore, ma anche per questo, eppur sembra strano, ci vuole fortuna, come racconta. «Se penso a me penso subito ad una grande fortuna – esordisce – è come se nella mia vita si fossero incastrati tanti tasselli che mi hanno permesso di esprimere le mie capacità. A volte mi sento un predestinato perché mi sono trovato troppo spesso nel posto giusto al momento opportuno con le persone giuste». Ma di certo in quei momenti, in quei posti e con quelle persone, Alfredo Paglione ha saputo restarci e trarne carburante per il viaggio di una vita.
Quando ha incontrato per la prima volta questa fortuna?
«Nel 1958. È la chiave di volta di tutta la mia esistenza. In vacanza frequentavo un tenore cileno che mi presentò una musicista colombiana, Helenita Olivares, fidanzata con Aligi Sassu, che ancora oggi considero uno dei più grandi artisti del nostro tempo; lo conobbi e restai colpito da un crocifisso che realizzò per il capoletto della fidanzata; scrissi dei versi su quell’opera e stavolta ne fu colpito lui, tanto da invitarmi in estate nella sua casa di Albissola, dove aveva creato una sorta di cenacolo in cui c’erano Lucio Fontana, Asger Jorn, Agenore Fabbri, Josè Ortega, Enrico Baj, Karel Appel e tanti altri, anche Picasso; iniziai così a frequentarli quotidianamente, a tavola, nelle discussioni; ero un po’ la loro mascotte».
Era il 1960. Ventidue anni e ventidue giorni di piroscafo la portano ad avventurarsi in Colombia, alla scoperta di un antico popolo, i Chibchas, che studiò nel Museo del Oro di Bogotà…
«Venne fuori l’occasione di un servizio per la rivista Pianeta della De Agostini, e m’imbarcai. Lì fui ospite di Helenita e in quella casa la fortuna mi diede il bacio più bello: conobbi sua sorella Teresita, una splendida musicista; c’innamorammo e da allora solo la sua scomparsa, tre anni fa, ci ha separato. Lo studio però mi stava stretto, volevo far di più. Cominciai a farmi conoscere negli ambienti culturali e diplomatici, e utilizzai dei versi che Quasimodo aveva dedicato a Helenita come passepartout per accattivarmi la stampa: ero ormai un impresario avviato, ma volevo tornare in Italia».
E andò a Milano…
«Sì, vi arrivai come viceconsole di Colombia! In realtà facevo il traduttore in ambasciata per il console, e intanto cominciavo ad occuparmi di piccole mostre».
Nel frattempo però si era riaffacciato il teatro sulla sua strada.
«Un altro colpo di fortuna. Un ricco ingegnere, Angelo Pizzoli, cercava un giovane che affiancasse sua moglie Dolores Olivan nella gestione di un teatro, battezzato la Piccola Commenda, che aveva deciso di regalarle nel centro di Milano. Mentre studiavo l’arredamento decisi di riservare, in segno di gratitudine, dello spazio a Sassu; come si dice in Abruzzo “Lu setacce adà jì e adà venì…”».
Alfredo Paglione con un'opera di Aligi Sassu
Restituì insomma la cortesia?
«Solo in parte, non avrei mai smesso di ringraziarlo abbastanza. Comunque quella volta Sassu dipinse tutto il teatro con delle tempere stupende… Inaugurammo con una commedia di Harold Pinter messa in scena da Paola Borboni con la scenografia di Lucio Fontana. Fu un successo cui ne seguirono molti altri, fino a quando lasciai».
Perché?
«Perché nel ’63 avevo aperto una galleria tutta mia e diventava impossibile gestire entrambe le attività, così scelsi quella a cui ero più affezionato. Si chiamava Galleria 32 per via dell’ubicazione a quel civico di Piazza della Repubblica. Proposi a Sassu di pensarla in funzione della sua attività, era già molto noto allora, e Aligi accettò, anzi per partire mi prestò 700.000 lire che poi, dopo tre mesi, gli restituii; c’è un articolo di Oggi a ricordarlo. Misi su una scuderia di artisti intorno al suo nome trainante e l’ingranaggio funzionò; allora spopolava l’astrattismo, la moda dettava i nomi: puntai invece tutto sul figurativo, senza snobbare gli altri certo, ma la linea guida doveva essere rispondente al mio gusto, come per ogni cosa che faccio. Milano in quegli anni era in pieno fermento e trovai il mio spazio fra gli appassionati d’arte».
Inaugurava mostre di famosi artisti, con cataloghi firmati dai migliori critici e dai più bravi fotografi, come la prima con Birolli, Grosso, Manzù, Sassu e Tomea che ricalcava una famosa esposizione della galleria “Il Milione” di trent’anni prima.
«Se c’è stato un comandamento che ho sempre rispettato è stato quello di volare alto, sempre e comunque, scegliere il meglio, fare quello che altri non avrebbero pensato di poter fare: non era tutta discesa chiaramente, lavoravo duro, di giorno in galleria, di notte al teatro, fino a quando scelsi di dedicarmi solo al mestiere di gallerista».
Venne allora il successo?
«Cominciò da allora, forse da quando una mia trovata garantì alla “32” una visibilità che non avrebbe mai perso. Seppi in anticipo che la Garzanti intendeva pubblicare il libro di Françoise Gilot, la moglie di Picasso, Vivre avec Picasso; volai a Parigi e la convinsi con un francese incerto ad allestire da me una mostra quando fosse venuta a Milano per la presentazione del libro; arrivò con le sue opere e la figlia Paloma: ne parlarono tutti i giornali».
Nel 1966 si trasferì nel cuore di Brera, inaugurando con una mostra di Mario Mafai, mentre Salvatore Quasimodo, premio Nobel nel ’59, ogni sera durante la sua solita passeggiata si riposava sul divano della galleria, di cui non perdeva una vernice: fu un’involontaria e riuscitissima pubblicità che le permise il grande salto.
«Certo, da me circolavano i migliori pittori e scultori, come Manzù, Raphäel Mafai, Cassinari, Scanavino, Lam, Fontana, Treccani, de Chirico, Guttuso, Ortega, Mensa, Migneco, Campigli, Messina e potrei andare avanti per molto, specialmente con i pittori spagnoli che ho sempre amato. Con gli artisti poi, ed era un valore aggiunto notevole, si davano appuntamento in galleria critici, intellettuali e giornalisti, da Trombadori a De Grada, da Sciascia a Ungaretti, da Monteverdi agli Scheiwiller, da Buzzati a Maurizio Fagiolo dell’Arco, da De Seta a Piero Chiara, da Alfonso Gatto a Enzo Siciliano, da Rafael Alberti a Montanelli, da Gillo Dorfles a Giancarlo Vigorelli, da Gianni Brera a Vittorio Sgarbi…».
Senza contare clienti ed ospiti noti: Spadolini, Walter Chiari, Giacinto Facchetti, Giuseppe Di Stefano, i conti Rusconi, Marta Marzotto, Luca Cordero di Montezemolo, Enzo Bearzot, Inge Feltrinelli: insomma la “32” era diventata una tappa fissa per le menti più brillanti di allora che capitavano a Milano.
«Esattamente, la cultura però si faceva davvero, non era finalizzata solo al rodaggio della galleria e al mio mestiere di venditore, che pure c’era, è chiaro, e si giovava di queste presenze. Ideai per esempio una collana delle Edizioni Trentadue dal titoli “visti da”, in cui poeti e scrittori parlavano di pittori contemporanei: coinvolsi ad esempio Quasimodo, De Micheli, Fabiani, Alberti, Barberi Squarotti, Testori, Loi, Raboni, Carrieri e Sereni».
Tra i tanti nomi che ha ricordato fino ad ora, però, non c’è nessun abruzzese.
«In effetti ho avuto rapporti professionali solo con Pietro e Andrea Cascella, due eccellenti scultori, e col pittore Gigino Falconi, presentato dal poeta Giuseppe Rosato».
Un altro anno fondamentale per lei fu il 1967, quello del suo matrimonio.
«Fu anche il più prezioso, così come prezioso è stato ogni giorno trascorso con Teresita. Era una ragazza, e poi una donna, eccezionale, e un’ottima violoncellista: studiava al Conservatorio Verdi di Milano e le si prospettava una carriera di successi; scelse però di restarmi al fianco in galleria rinunciando alle sue aspirazioni di musicista. È stato il più bel regalo che mi abbia mai fatto perché ci ha permesso di vivere una vita quotidianamente in simbiosi».
Sassu divenne ufficialmente suo cognato cinque anni più tardi. Cosa vi regalò per le nozze?
«Una sua opera naturalmente, quella a cui tengo di più: una Deposizione del 1932 in cui umanità e divinità coincidono in una composizione particolare ed evocativa».
Ecco che torna il numero 32…
«Lo avevo detto, no? Anche la mia casa di Milano per esempio è al civico 32».
Oltre al 32 però c’è un altro portafortuna nella sua vita.
«Sì, la tartaruga; è legata a Teresita, la chiamavano “la signora delle tartarughe”».
Che è anche il titolo di un libro in cui compare la collezione di sua moglie, quasi mille pezzi d’arte e artigianato con questo tema; tra loro una tartaruga in rilievo in bronzo che Floriano Bodini ha dedicato, nel 1993, al trentesimo anniversario della sua galleria.
«Nel 1989 avevo cambiato nuovamente sede, da via Brera 6 a via Appiani 1. Portai avanti l’attività fino al 2000 quando scelsi di chiudere quella bella e lunga stagione della “32” con l’inaugurazione di una mostra in quattro atti, intitolata “2000. Elogio della Bellezza”».
Pressappoco in quegli anni ha iniziato a riavvicinarsi all’Abruzzo per occuparsi di occasioni d’arte. Lei non è nuovo ad atti di generosità: ricordiamo le opere donate ai Musei Vaticani o la costituzione a Milano, nel 2008, della Fondazione Crocevia dedicata a sua moglie; per questo ha sentito il bisogno di condividere con la sua regione i frutti di una carriera di successo, attraverso donazioni, comodati e rassegne culturali?
«Sì, è sempre la storia del setaccio, quando si ha fortuna bisogna in qualche modo renderne partecipi gli altri. In Abruzzo ci ho provato col cuore ma qualche volta ho dovuto fare marcia indietro».
In che senso?
«Nel senso che non mi accontento della mediocrità; non per me, ma per la tutela delle opere e dell’interesse dei cittadini a poterne fruire come si deve».
Ha donato un’ottantina di dipinti alla Galleria Civica di Arte Moderna di Palazzo d’Avalos a Vasto e un centinaio al Museo “Barbella” di Chieti; e una trentina di opere al Comune di Tornareccio e circa duecento sculture e ceramiche di Sassu al Comune di Castelli.
«E nel 2003 ho donato alla Fondazione Carichieti 58 acquerelli che mio cognato realizzò nel ’43 ispirandosi a I Promessi Sposi, permettendo così d’istituire il Centro Abruzzese Studi Manzoniani; e poi ho già disposto oppure ho in predicato molte altre cose».
La Fondazione Flaiano e il Centro Studi dannunziani le hanno infatti assegnato il premio “Mecenate d’Abruzzo”…
«Forse perché sono stato sempre molto legato a questa regione, avevo rapporti con altri galleristi, come i teramani Rizziero e Limoncelli, e sentivo sempre di dover portare il meglio nella mia terra. Il meglio per me, ovviamente, era Sassu. Venne spesso per dei concerti con Helenita e poi per lavorare alle illustrazioni dell’Alcyone di d’Annunzio. In Abruzzo stava a suo agio: aveva un nome dannunziano, Aligi, e un cognome che richiamava la nostra montagna più alta! Chiesi a lui di realizzare una grande opera per la chiesa di Sant’Andrea a Pescara nel 1964, ed esposi le centotredici opere con cui aveva illustrato la Divina Commedia al Castello Gizzi di Torre de’ Passeri, dov’è la Casa di Dante».
E adesso cosa c’è in ballo?
«Sessanta opere per il MuMi di Francavilla al Mare, trecentotrenta opere grafiche, fra cui quaranta Goya, per il Museo Archeologico di Atri, che dovrebbe dedicare dodici stanze a questa collezione, e ancora duecentodieci opere su carta, sempre di Sassu, già sistemate a Palazzo Ferri ad Atessa, dove arrivano visitatori da tutta Italia; forse è l’unico museo che funziona».
Altre cose però non hanno funzionato. Che mi dice del Museo dello Splendore?
«Un’occasione perduta per Giulianova e per tutta la regione, niente di più. Durò cinque anni e poi delle gravi circostanze mi costrinsero a ritirare tutte le opere».
Un’operazione vincente è invece la rassegna “Un mosaico per Tornareccio”, giunta alla sesta edizione, con 42 bei mosaici di noti artisti già collocati sulle facciate delle case, ma anche l’accordo con la Fondazione Carichieti che le riserverà sedici stanze nella propria sede centrale per collocarvi 130 opere della collezione…
«D’accordo, ma resta un problema di fondo. Perché con fatica provo a portare in Abruzzo i maestri dell’arte del Novecento, solo per amore della mia terra e per dare la possibilità ai giovani abruzzesi di avvicinarsi sempre più alla pittura e alla scultura, un patrimonio fondamentale del Paese in cui cresceranno, e invece qui quando doni o dai in comodato delle opere importanti le ritrovi dopo anni ancora sottochiave. Le istituzioni non riescono, o non vogliono, organizzare strutture funzionali, non pubblicizzano l’attività culturale e si resta sempre nella peggiore provincia; cambia un’amministrazione e la nuova cancella tutto quanto è stato fatto dalla precedente, magari ottime iniziative; vai in un museo e trovi i funzionari in poltrona che vogliono comandare senza avere alcuna capacità. Qui mancano professionalità e passione sincera per la cultura, la nostra classe dirigente qualche volta mi ha deluso un bel pò».
Sono in parecchi altrove a corteggiare le sue opere: le porterà via dall’Abruzzo?
«Macché, il rammarico, e a volte anche la delusione, ci può essere ma non mi pento di quel che ho fatto, nè penso di fermarmi; la tartaruga è lenta ma porta con sé la fortuna e percorre tutta la sua strada. Fino alla meta».
di Giorgio D'Orazio
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