Andrea Pazienza nasce a San Benedetto del Tronto figlio di Enrico Pazienza, professore di educazione artistica, e Giuliana Di Cretico. Residente subito a San Severo, la città del padre (nonché quella "del suo pensiero"), vi trascorre l'infanzia, passando le estati con la famiglia a San Menaio, eletta a sua dimora adottiva. All'età di tredici anni, nel 1968, Pazienza si trasferisce per studio a Pescara, tornando quasi ogni fine settimana a San Severo, dove continua a frequentare gli amici di sempre e a lasciare tracce della sua genialità, tra l'altro realizzando le scenografie di alcuni spettacoli presso il Teatro Verdi. Nella città abruzzese si iscrive al liceo artistico e stringe amicizia con l'autore di fumetti Tanino Liberatore. In questi anni crea i suoi primi fumetti, in parte tuttora inediti, e realizza una serie di dipinti; collabora, inoltre, col Laboratorio Comune d'Arte "Convergenze", che dal 1973 espone i suoi lavori in mostre sia collettive sia personali. Nel 1974 si iscrive al DAMS di Bologna che lascia a due esami dalla laurea. Vive gli anni della contestazione giovanile bolognese, che fanno da sfondo al fumetto Le straordinarie avventure di Pentothal, primo lavoro di Pazienza pubblicato («Alter Alter», 1977). In quella facoltà incontra altri artisti e scrittori come: Pier Vittorio Tondelli, Enrico Palandri, Giacomo Campiotti, Gian Ruggero Manzoni, Freak Antoni. Nel 1977 con Filippo Scòzzari entra a far parte del gruppo che realizza la rivista «Cannibale», fondata da Stefano Tamburini e Massimo Mattioli, a cui si unirà in seguito Tanino Liberatore. Dal 1979 al 1981 collabora col settimanale di satira «Il Male». Col gruppo di «Cannibale» e con Vincenzo Sparagna, fonda nel 1980 il mensile Frigidaire, sulle cui pagine fa la sua comparsa Zanardi. La collaborazione con Frigidaire rivela un Pazienza, per quanto insofferente delle scadenze e delle pressioni editoriali, autore estremamente prolifico. Nel soli primi mesi di vita della rivista, realizza soggetti e disegni per decine di storie in bianco e nero, a colori, e persino con tecniche miste. Tra i personaggi, Francesco Stella, L'investigatore senza nome, Pertini (per un albo speciale disegnato in tre giorni - dice Pazienza). Realizza anche molte copertine di dischi, un calendario, alcuni poster, e molti spot grafici. Inoltre omaggia Tamburini e Scòzzari di simpatiche collaborazioni, ed illustra articoli e racconti, su richiesta del direttore Sparagna. Già star del fumetto, non disdegna contributi di autori meno noti nelle sue storie (Nicola Corona, Marcello D'Angelo, un pool di coloristi per l'albo Zanardi). Pazienza si dedica anche all'insegnamento, dapprima presso la Libera Università di Alcatraz (Santa Cristina di Gubbio) di Dario Fo (coordinata dal figlio Jacopo). Quindi nel 1983 partecipa a Bologna alla Scuola di Fumetto e Arti Grafiche Zio Feininger, fondata da Brolli e Igort in collaborazione con l'Arci locale, e insegna a fianco di Magnus, Lorenzo Mattotti, Silvio Cadelo e altri. Qui tiene personalmente un corso fino al giugno del 1984 (tra gli allievi Francesca Ghermandi, Alberto Rapisarda, Enrico Fornaroli e Sauro Turroni), raccontando quell'esperienza di insegnante qualche anno più tardi nel romanzo grafico Pompeo. Lungi dal limitarsi al fumetto ed esprimendosi nei più diversi ambiti della grafica, Pazienza firma, in questi anni, manifesti cinematografici (tra cui quello della Città delle donne di Fellini nel 1980, e quello per Lontano da dove, regia di Stefania Casini e Francesca Marciano, nel 1983), videoclip (Milano e Vincenzo di Alberto Fortis e Michelle dei Beatles per il programma di Rai Uno Mister Fantasy), copertine di dischi (come Robinson di Roberto Vecchioni e S.o.S brothers di Enzo Avitabile) e campagne pubblicitarie. Lavora anche per l'amato mondo del teatro, realizzando scenografie e ideando locandine. Il crescente successo riscontrato in campo grafico non gli impedisce di dipingere. Espone nuove opere sia nel 1982, in occasione della rassegna Registrazione di Frequenza presso la Galleria Comunale d'Arte Moderna di Bologna, sia nel 1983, presso la galleria milanese Nuages e alla mostra Nuvole a go-go presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma (con Francesco Tullio Altan e Pablo Echaurren). Inoltre, decora con pitture murali l'aula del Polo Didattico della Facoltà di Lettere di Genova, e realizza il gigantesco Zanardi equestre a Cesena. Se in questi anni Pazienza incontra una grande fama grazie al suo lavoro, contemporaneamente ne conosce anche i lati oscuri, che progressivamente lo distruggeranno: le droghe, in particolar modo l'eroina, entrano nella sua vita, alternandosi tra periodi in cui egli riesce a distaccarsene, e periodi in cui non riesce a farne a meno. È proprio a causa di ciò che ben presto viene bollato come "tossico", (anche se lui stesso, come testimonia una video-intervista a Red Ronnie del 1984, amava scherzarci sopra), lavora di meno e viene abbandonato dalla fidanzata storica. Trasferitosi a Montepulciano nel 1984 e apparentemente disintossicato, nel giugno 1985 conosce la fumettista Marina Comandini e, un anno dopo, la sposa. Nel frattempo continua a collaborare con le più importanti riviste italiane del fumetto, tra cui «Linus», e partecipa alla creazione del mensile «Frizzer» (che si affianca a «Frigidaire»). Collabora inoltre alla rivista «Tempi Supplementari» e, dal 1986, anche con «Avaj», supplemento al mensile «Linus», con «Tango», supplemento del quotidiano «l'Unità», con «Zut», rivista satirica diretta da Vincino, e con «Comic Art». Nel 1987 firma la scenografia dello spettacolo di danza Dai colli del coreografo Giorgio Rossi, e collabora alla sceneggiatura de Il piccolo diavolo di Roberto Benigni (il comico non accredita il contributo di Pazienza, ma gli dedica l'intero film uscito postumo). È a Montepulciano che nascono opere legate alla sua crescente passione per la poesia e la storia: "Pompeo", "Campofame" da un poema di Robinson Jeffers, "Astarte". Nella notte del 16 giugno 1988 si spegne improvvisamente a Montepulciano. Le cause precise della morte non furono mai rese note. Alcune testimonianze parlano di un ritorno all'eroina, da cui era riuscito ad allontanarsi da tempo, e di una morte dovuta ad un'overdose. Pochi giorni dopo la sua scomparsa, si apre a Peschici, postuma, la prima mostra che avrebbe dovuto tenere insieme al padre Enrico. È sepolto nel cimitero di San Severo (disse al padre: «se mi dovesse succedere qualcosa, voglio solo un po' di terra a San Severo, e un albero sopra...»).
Per impedire che la luce senza tregua di Reykjavik, la capitale d'Islanda dove risiede da quattro anni, si rifletta con violenza sui suoi quadri, il Maestro ha schermato le finestre e fissato alla parete una fila di tubi al neon. In questa quiete ambrata lavora Odd Nerdrum, norvegese, 59 anni, sette figli e una giovane moglie, pittore straordinario che la critica americana considera "la reincarnazione di Rembrandt" e che in Europa pochi hanno sentito nominare. Un pittore om forse qualcos'altro. «lo non sono un artista», precisa Nerdrum. «L'arte è una religione. Per me Rembrandt è più importante di Gesù Cristo». Avvolto in una ampia tunica nera, la folta chioma biondo-argentea tenuta a freno con una fascia sulla fronte, Nerdrum dà una pennellata alla grande tela alla quale sta lavorando: due donne sedute sulla spiaggia in un giorno di sole riluttante. Poi si rincantuccia in un angolo del suo piccolo studio. Siede su una poltrona lisa, estrae un binocolo da una catasta di barattoli e pennelli e lo punta tenendolo a rovescio sulla tela.è l'unico accorgimento che gli consente una veduta da lontano in uno spazio così esiguo, la stanza più piccola della sua ampia villa bianca, una ex- biblioteca degli inizi del Novecento. «Nel giardino», dice, «ci sono gli unici alberi di tutta l'isola. Ma a me gli alberi non piacciono. Mi sono trasferito qui proprio perché questa natura spoglia, la stessa dei miei quadri, mi rilassa». Le quotazioni dei suoi lavori, nella sede della Forum Gallery, a New York, sulla Quinta Strada, raggiungono i 300 mila dollari. Per decenni l'Europa, a cominciare dalla Norvegia, gli ha fatto guerra. Nel '63, all'epoca della prima personale a Oslo, Nerdrum era già al centro di un'accesa diatriba. Mentre l'astrattismo e l'arte concettuale dominavano la scena dell'avanguardia, il giovane Odd predicava il recupero della tradizione figurativa e la squisitezza formale dei grandi artisti del XVI e XVII secolo, Caravaggio, Goya, soprattutto il Rembrandt della Conspiracy of Claudius Civilis che l'aveva ammaliato diciottenne nel Nazionalmuseum di Stoccolma. Solo ora, finalmente, grazie al Festival dei Due Mondi di Spoleto, il nostro pubblico ha potuto ammirare la sua imagery raffinata e densa di mistero. Sarà lui, un pittore, il richiamo di una manifestazione incentrata su musica e danza. Una grande mostra lo consacrerà. Lo stesso manifesto del Festival, un volto ferito, è tratto da uno dei suoi quadri più drammatici. Perché l'adozione di un'icona così forte? Nel giardino della sua villa con vista sul Duomo di Spoleto, il direttore artistico, Francis Menotti, figlio di GianCarlo, fondatore del leggendario Festival nel 1958, spiega la scelta: «Quel viso esprime lo stato d'animo di tutti noi che oggi ci chiediamo in quale mondo viviamo. Il presente è confuso. Non sappiamo che cosa stia accadendo, se dobbiamo gridare per chiedere aiuto o fingere che tutto vada bene. Quella ferita è un po' anche nostra». AI suo fianco, il Maestro Menotti, 92 anni portati con eleganza, che torna alla regia col Lohengrin wagneriano, l'opera che ha inaugurato la rassegna il 28 giugno, confida: «Nella messa in scena, soprattutto nei costumi, mi sono ispirato all'atmosfera surreale di Nerdrum, anche se devo tener conto che i cantanti sul palcoscenico si muovono, mentre le figure di Nerdrum sono bloccate in una tesa immobilità», Singolare sodalizio: l'artista dall'anlmus vlchlngo e Il Maestro cosmopolita, che da anni vive ritirato in un castello scozzese. Ma la singolarità è apparente. Nerdrum non è un artista maudit, è un intellettuale che disquisisce di Platone, Aristotele, Kant, Hegel, Freud, Adorno, Dante e Dostoevskij, la passione adolescenziale. «Come compositore, Giancarlo è un genio», afferma. «Sono sempre stato un suo fan. Spesso, mentre dipingo, ascolto la sua musica. La medium è l'opera che amo di più». Il fatto che pochi intenditori in Europa gli abbiano dato credito lo lascia indifferente: «Sono l'uomo più egoista che conosco perché ho scelto di fare solo quello che volevo: dipingere senza condizionamenti esterni. Se mi fossi lasciato influenzare, sarei diventato un artista, un artista moderno. Invece cosl posso permettermi una visione positiva della carne, posso rappresentare la bellezza del corpO umano, come in epoca classica prima e nel Rinascimento poi. Non mi interessano né fama né ricchezza. Come pubblico mi bastano me stesso, la mia meravigliosa moglie e pochi allievi». In America molti giovani artisti considerano Nerdrum un guru. Col tempo lui stesso ha finito per crederci. In un quadro del 1997-98 si è raffigurato come il "Profeta della pittura". Indossa una veste sfarzosa, oro brunito, si erge sullo sfondo di uno dei paesaggi arcani che rappresentano uno dei tratti più seducenti della sua opera. E non è che uno dei suoi tanti autoritratti. Quale altro pittore al mondo avrebbe osato seguire l'esempio dell'ineffabile Rembrandt che immortalò la propria immagine nelle varie stagioni della sua vita? Così Nerdrum ha finito col sollevare scandalo, liquidato spesso con le etichette di artista "reazionario", "retrogrado", "provocatore". «Ma quale provocatore!», reagisce cor voce tonante. «Mi limito a non seguire la corrente. lo sono l'iceberg, i critici sono il Tìtanic. Ed è stato il 1ìtanic é colpire l'iceberg. Il mondo dell'arte ha bisogno di nemici, come la religione ha bisogno del diavolo. Il guaio è che se è la società a escluderti, va tutto bene. Ma se sei tu che scegli la solitudine, allora diventi una minaccia». Evidentemente Nerdrum dimentica l'autoritratto con tunica dorata in cui, spudoratamente, solleva la veste regale per rivelare il pene eretto, lucente come una scimitarra. Certo è che se la sua ribellione si fosse limitata a rivalutare la pittura del Rinascimento, non sarebbe apparso così "minaccioso". Ma il vate si è spinto ben oltre. Con fantasia visionaria, ha creato una cosmologia ricca di poesia. Il paesaggio è cupo, lunare, privo di vita vegetale. I personaggi appaiono cristallizzati in momenti eterni,lo sguardo raggelato, come se obbedisse a un richiamo ipnotico. I colori virano verso il cromatismo dell'estate d'Islanda, l'incerto chiarore fatto di tinte bruno-laviche che non sai se appartengano all'alba o al crepuscolo. I critici sono rimasti sconcertati: un Giardino dell'Eden degradato a un limbo primitivo? Un rifugio pur sempre insidioso (vista la presenza di fucili,coltelli, elmetti) per quanti sono fuggiti dalla modernità? Una metafora atemporale della solitudine dell'umanità? Nerdrum, com'è sua abitudine, rovescia la prospettiva: «Il mio punto di vista è positivo. Questi personaggi semibarbarici, sperduti in una terra desolata, rivelano dignità, quasi eleganza, nel loro comportamento, anche quando soffrono, quando la morte si awicina. Penso che la dignità trasmetta un messaggio molto importante per l'umanità tutta,inclusi i ciechi, i sordi, i disabili. Anche loro, come le altre creature del mio mondo, setacciano l'orizzonte perché anelano a una terra felice. lo non sono religioso però sono convinto che esista un mondo migliore, da qualche parte. Come per il vero amore. Anche se molte volte restiamo delusi, non smettiamo di credere nell'amore. Arriva la sera. Suona il campanello e i candidi interni si animano. Odd accoglie teneramente la moglie e i suoi ragazzi, compresi due gemelli di quattro anni, poi saluta alcuni allievi e invita tutti nello studio per fare quattro chiacchiere sulle tele più recenti. Alle 18.30 si cena In una nicchia rischiarata da finestre esili come fessure. Il filo della conversazione si rianno da in un salotti no, al piano di sopra, davanti a tazze di caffè in porcellana con motivi iconografici di Nerdrum. Mentre avvolge di garza la piccola sagoma in argilla di un neonato, Nerdrum prende di mira Kant ed Hegel, i filosofi che hanno imposto le regole dell'estetica moderna, sancendo la vittoria dello spirito sulla carne, del lavorio mentale sull'emozione. In un clima da accademia del tempo che fu, il patriarca mostra alcuni album di schizzi e spiega come sia germogliato il suo enigmatico altrove. Un momento di relax. Ma l'anima del vichingo ribolle. Nerdrum non si tira indietro di fronte alle sfide dell'establishment. E, mentre il tramonto assume le tonalità cineree dell'alba nordica, racconta il suo ultimo coup-de-théatre: ero già stato tacciato di essere kitsch. Finché un giorno mi è capitato di leggere un libro di Tomas Kulka, Kitsch and art. Il pittore kitsch è definito il nemico dell'arte e, via via che leggevo, mi rendevo conto che quel nemico ero proprio io. L'autore distingue tra la direzione giusta e quella sbagliata. lo ho scelto quella totalmente sbagliata. Insomma, sono Re Kitsch. Lo dice senza autoironia, in tono malinconico, come quando si lascia sfuggire: le gioie sono minuscole stelle nel firmamento». Forse ha ragione il critico americano Richard Vine. Non conosceremo mai il vero Odd Nerdrum dietro le pose e le fogge teatrali, più di quanto conosciamo il vero Rembrandt.
Ho tra le mani un catalogo dei dipinti di Agostino Arrivabene, nato a Rivolta d'Adda in provincia di Cremona l'11 giugno del 1967. Arrivabene è bravo al punto da inventarsi il proprio logo, inseguendo quello, divino, di Albrecht Durer. Prima di lui soltanto l'attore Alain Delon aveva inseguito, graficamente parlando, Durer. Il mio commento è che, entrambi i sapienti presentatori di questo catalogo, hanno scritto, vediamo un po': come hanno scritto? Forse troppe cartelle, troppi pensieri, troppa scienza culturale. Per guardare un quadro sono sufficienti 'gli occhi e la brevità ' che devono essere la sintesi di uno scritto. Amo le stringhe brevi, quei lacci che stringono la scarpa al piede con pochi centimetri di lunghezza e, tutto sommato, sono ancora meglio i mocassini: ci infili il piede e cammini. Del bravissimo Arrivabene amo i paesaggi, i vulcani pieni di neve che dicono e raccontano, con esattezza fantastica, la verità come la intende il pittore. Se un paesaggio ha dei punti esclamativi, vuol dire che quei vulcani hanno esagerato, trattenendo o eruttando oltre ai loro materiali propri, anche apparizioni mitologiche. Come avviene nel 'Il grande Iceberg ' dipinto tra il 2000 e il 2002 dove, nel piccolo lago che confina con la grande distesa d'acqua, appare, forse, la testa di un animale che muovendo la coda segna l'acqua di piccoli cerchi, propri a chi nuota. A meno che, inseguendo l'arte fantastica che sta nella testa del nostro pittore, un macigno sia piovuto dal cielo, proprio in quel laghetto... A meno che ...Gli 'a meno che ' nei quadri di Arrivabene si sprecano e occuparsi di lui può sconfinare con l'enciclopedia di una scienza che sta in piedi per merito di un'arte fantastica. In inglese sarebbe ' phantasy ', che non è fantasia ma, per l'appunto, fantastica. Se ci sono di mezzo le figure il quadro, di colpo, esagera, s'ingrossa, acquista un'altra sorpresa e non ha più lo scheletro che poteva avere un quadro dipinto senza figure umane. L'autore dovrebbe saperlo visto che ha amato Durer come Van Eyck. Quei due artisti dicono la verità, esibiscono la sintesi della storia dell'arte. Prendiamo 'La battaglia tra Alessandro e Dario ' di Albrecht Altdorter, o la 'Madonna nella chiesa gotica ' di Van Eyck che misura centimetri 32x14. La sintesi è quella, la misura e la lunghezza delle stringhe per le scarpe sono quelle. Sono quadri grandiosi, ma le misure per camminare con loro sono tascabili. Arrivabene allunga lo sguardo, o gli sguardi, visto che, molto spesso, esita tra il grande angolare e il cinerama, e ti fa trasalire perché il suo paesaggio offre l'ampiezza della vita: quella che vedevo, quando vivevo in America e mi lasciavo andare, in Arizona, nel New Mexico, nel Colorado o nello Utah, perché l'occhio, l'unico che possiedo, non aveva mai visto niente di simile, silenzio e stupore. Credo che Arrivabene abbia dalla sua parte di primo attore, quello stesso sguardo che lo incoraggia a guardare dentro per vedere lontano. La bellezza di un quadro sta, per prima cosa, nel piacere di osservarlo, proprio ' quello ' tra i tanti esibiti in una mostra. Dopodiche, se hai denaro, il secondo immediato piacere è quello di comprarlo per portarlo a casa. Questo è quello che mi è capitato quando ho guardato il gran paesaggio che comprendeva l'acqua, la neve, il colore di un'aurora boreale, alimentata dai raggi del sole e i loro riflessi sull'acqua e sulla neve del suo polo Nord. Ecco. Le stringhe sono arrivate alla fine, non chiedo di più, mi infilo le scarpe e cammino.