lunedì 19 marzo 2012

Vito CAPONE








L’essenza della materia
a cura di Loredana Rea

Da oltre un ventennio la ricerca di Vito Capone ruota intorno alla materia, articolandosi come serrata indagine sulle sue possibilità espressive, sulle sue capacità di trasformarsi in altro attraverso gli strumenti dell’arte. Ma, in una maniera atipica e decisamente singolare nell’ampio panorama della sperimentazione contemporanea, l’attenzione dell’artista fin da principio, da quando cioè compie il definitivo abbandono della pittura, si orienta verso l’analisi di un solo materiale, la carta, per portarne alla luce la natura, i ritmi profondi che regolano il suo organico sviluppo, l’essenza. A guidarlo non è, infatti, la curiosità di sperimentare sempre nuovi materiali, seguendo l’idea di una manipolazione fine a se stessa, sia pure per raggiungere risultati di calibratissimo equilibrio formale, condizione questa che a partire dalla seconda metà del novecento ha offerto continui impulsi e stimoli diversi alla ricerca artistica, quanto piuttosto l’esigenza ineludibile di scoprire le possibilità semantiche ed anche, soprattutto, la forza evocativa e la vitalità poetica di una materia antica, apparentemente fragile eppure sorprendentemente resistente all’usura del tempo. Per Capone la carta non è semplice supporto, superficie ordita di sottili trame che svela e rivela, che nasconde e contemporaneamente mostra l’esistenza di una realtà altra, impenetrabile agli sguardi superficiali. Né soltanto struttura portante dell’opera, materia duttile da cui l’artista con certosino rigore plasma le sue forme, senza mai abbandonarsi alla felicità manuale del fare, ma anzi cercando sempre un sottile equilibrio tra le intrinseche potenzialità del materiale scelto e la costruzione necessaria per sottometterlo alla specificità del linguaggio. Per Capone la carta è l’opera: modellata, mescolando alla polpa foglie, erbe, giunchi sottili, fili di cotone e canapa, incisa per evidenziare la tattilità della superficie e creare sapientemente escrescenze e solchi, sovrapposizioni e incrinature, pigmentata, utilizzando con grande raffinatezza il bianco e il nero, colori non-colori che esaltano la luce sublimandola. L’arte, infatti, è intesa non soltanto come capacità di fare della materia una epifania, inevitabile apparizione legata alle sue connaturate qualità, alla sua specifica sostanza, quanto soprattutto come possibilità di lasciare emergere dalla sublime fragilità, dall’ineffabile inerzia della materia le immagini in essa contenute, il disegno che viene fuori da dentro le cose. Da qui la necessità per l’artista di lavorare la carta con le proprie mani, di manipolare la materia per piegarla alle proprie esigenze pur rispettandone l’essenza. È così che dalla polpa vischiosa nascono manufatti dal carattere inconfondibile, in cui la tensione poetica si mescola inscindibilmente alla sensualità di una sostanza sensibile, fatta di superfici porose e sapienti consunzioni, di corrugamenti e sorprendenti stratificazioni, di slabbrature e improbabili addensamenti. Capone utilizzando la carta con raffinata sensibilità costruisce, infatti, opere in cui lo spazio, concepito come architettura complessa, immagine tangibile della dinamica discontinuità del reale, e il tempo, inteso come possibilità di oltrepassare la mutevole compiutezza dell’apparenza per raggiungere l’incessante diversità dell’infinito, sanano la loro dicotomia. Opere in cui a forme, rigorosamente chiuse in una misurata solennità corrispondono forme studiatamente aperte, come scavate da una sorprendente aerea permeabilità. Opere in cui il segno, che si concretizza in sottili filamenti glutinosi intorno a un’anima rigida, dialoga dialetticamente con il vuoto creato da una calibrata rarefazione della materia. Opere che si nutrono di quella stessa armonia delle grandi scene di battaglie dell’antichità, in cui spazio e tempo, forma e luce sono indissolubilmente legati gli uni agli altri da un profondo equilibrio. Proprio la necessità di equilibrio tra questi diversi termini denota in maniera inconfondibile la ricerca di Vito Capone. Un percorso che si snoda lungo un tracciato che, pur avendo come radice e inevitabile punto di arrivo la riflessione sulla materia, si articola intorno a contesti differenti, a cogliere tra le sperimentazioni linguistiche e metodologiche le infinite declinazioni della contemporaneità.

giovedì 15 marzo 2012

Daniel Libeskind


























Born in Postwar Poland, Libeskind immigrated to America with his family becoming an American citizen in 1964. He studied music in Israel (on the America-Israel Cultural Foundation Scholarship) and in New York, and became a virtuoso performer. He left music to study architecture, receiving his professional architectural degree in 1970 from the Cooper Union for the Advancement of Science and Art in New York City. He received a postgraduate degree in History and Theory of Architecture at the School of Comparative Studies at Essex University (England) in 1972.
Since establishing his practice in Berlin in 1989, Mr. Libeskind has designed major cultural, commercial and residential projects around the world. These include the master plan for the World Trade Center and the Jewish Museum Berlin. In October of 2011, his firm, Studio Daniel Libeskind, completed its redesign of what is now Germany’s largest museum, the Military History Museum in Dresden. The same month Hong Kong’s City University celebrated the opening of the Libeskind-designed Run Run Shaw Creative Media Centre. Other recent projects include the Grand Canal Theatre project, a major addition to Dublin’s docklands and the city’s cultural core; Crystals at CityCenter, a 500,000-square-foot retail complex that is the centerpiece of MGM Mirage’s signature development on the Las Vegas Strip.
The Studio has several projects under construction, including City Life’s redevelopment of the historic Fiera Milano Fairgrounds in Milan; Kö-Bogen, an office and retail complex in Düsseldorf; two high-rise developments, The L Tower in Toronto and Reflections at Keppel Bay, a two-million-square-foot residential development in Singapore; Zlota 44, a residential high rise in Warsaw; and Haeundae Udong Hyundai l’Park, a mixed-use development in Busan, South Korea, which when completed, will include the tallest residential building in Asia.
Projects in development include Archipelago 21, the master site plan for the Yongsan International Business District in Seoul; the Institute for Democracy & Conflict Resolution, for the University of Essex in England; Vitra, a residential tower in Sao Paulo, Brazil; and the Central Deck and Arena in Tampere, Finland, a mixed-used development that contains an ice hockey arena large enough to seat 11.000 visitors.
Among the many Libeskind buildings that have received worldwide acclaim are The Felix Nussbaum Haus, in Osnabrück, Germany (1998); the Imperial War Museum North in Manchester, England (2002); the extension to the Denver Art Museum and the Denver Art Museum Residences (2006), the Royal Ontario Museum (2007) and the Glass Courtyard, an extension to the Jewish Museum Berlin,(2007); the Ascent at Roebling’s Bridge, a residential high-rise in Covington, Kentucky (2008); the Contemporary Jewish Museum in San Francisco (2008); and Westside, Europe’s largest retail and health center, located in Bern, Switzerland (2008).
Daniel Libeskind Mr. Libeskind has taught and lectured at many universities worldwide. He has held such positions as the Frank O. Gehry Chair at the University of Toronto, Professor at the Hochschule für Gestaltung, Karlsruhe, Germany, the Cret Chair at the University of Pennsylvania, and the Louis Kahn Chair at Yale University. He has received numerous awards including the 2001 Hiroshima Art Prize — an award given to an artist whose work promotes international understanding and peace, never before given to an architect. Mr. Libeskind’s ideas have influenced a new generation of architects and those interested in the future development of cities and culture.



http://daniel-libeskind.com/
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