venerdì 2 luglio 2010

AMLETO CATALDI, un grande scultore dimenticato del primo Novecento italiano

















Lo scultore Amleto Cataldi nacque a Napoli il 2 novembre 1882, figlio di Angelo, un povero intagliatore in legno che gli insegnò la propria arte, e di Giuditta Alessandroni.
Padre e figlio, all’inizio di questo secolo, si trasferirono da Roccasecca-Castrocielo a Roma, dove aprirono un piccolo negozio che il Cataldi, presto orfano con una sorella inferma, continuò a gestire tra le più gravi difficoltà; tuttavia, il giovane inseguiva una sicura vocazione di scultore e, frequentando mostre e musei, curò la propria formazione artistica, come Umberto Boccioni, Adolfo De Carolis, Arturo Dazzi, iscrivendosi alla Scuola libera del nudo di via Ripetta, dove si distinse per i suoi meriti, inserendosi nella tendenza naturalistica e modellando le sue sculture secondo un ideale classicheggiante.
Il suo esordio ufficiale avvenne nel 1907, quando ottenne un premio alla mostra degli Amatori e Cultori delle belle arti con un gruppo dal titolo l’”Ultimo gesto di Socrate”; si conquistò una buona fama che gli fece ottenere importanti commissioni.
Nel giugno del 1909, fu indetto un concorso pubblico per la decorazione scultorea delle pile e delle testate del ponte Vittorio Emanuele II, dove erano previsti quattro gruppi scultorei a rappresentare le Virtù del Re e quattro Vittorie: dopo varie vicissitudini, la commissione giudicatrice incaricò delle opere i seguenti scultori: Elmo Palazzi, Luigi Casadio, Amleto Cataldi e Francesco Pifferetti, per le Vittorie in bronzo: l’opera fu inaugurata il 5 maggio 1911, in occasione dei Cinquanta anni dell’Unità d’Italia.
La carriera di Cataldi fiorisce a partire dal 1910; tanto il gusto borghese quanto la retorica nazionalista, celebrativa di guerre vittoriose e di un nuovo ruolo internazionale del paese, trovarono in lui uno degli interpreti più dotati.
Il Cataldi si ritrovò con un affollato calendario di esposizioni e commissioni per molti monumenti pubblici e privati e ritratti a busto della nobiltà romana: ritrasse le dame più note dell’aristocrazia e della nuova borghesia con i loro antenati e poi, ancora eroi, artisti, professionisti, burocrati: i busti della principessa Giovannelli, della signora Braschi, del Principe di Civitella Cesi, di Pascarella.
Decorò tombe di famiglia per I Crespi a Crespi d’Adda, per i Cando a Budapest, per i Raggio a Genova e altro.
Nel frattempo, carico di fama, divenne insegnante di plastica all’Istituto romano di San Michele, membro di alcune Accademie, tra cui l’Albertina di Torino.
Lo scultore Amleto Cataldi iniziò ad esporre: nel 1908 a Bruxelles e a Parigi, nel 1909 a Monaco, nel 1910 a Buenos Aires, nel 1913 a Roma, (Prima esposizione internazionale), nel 1923 a Parigi, dove la giuria lo premiò “per la sua espressione viva, mai disgiunta da ritmica armonia”, nel 1924 a Parigi, al Petit Palais, (Salon des artistes francais), nel 1929 e 1930 al Salon des Tuileries, tutte le biennali di Venezia a partire dal 1909 fino al 1930.
La poetica di Amleto Cataldi, d’ispirazione classicheggiante, era “ dare una espressione plastica, la quale oltre che essere ammonimento quotidiano dello spirito, sia anche riposo e ricreazione visiva nell’armonia e nella bellezza…per me, la bellezza è una e universale e non fu realizzata che dai Greci…io voglio che piaccia non soltanto l’opera nella sua sintesi, ma in ogni sua parte…io voglio che una mano o un piede di una mia statua abbiano la virtù di risuscitarla tutta nella fantasia di un osservatore…”.
Inoltre, molto apprezzati sono tuttora alcuni nudi femminili, armoniosi e garbati, come la “Fanciulla con anfora” che orna una fontana a scogliera di Villa Borghese, sulla destra della Casina Valadier, o come la “Danzatrice velata” nel foyer del Teatro Politeama di Palermo ora presso la Galleria civica di arte moderna della stessa città o una elegante figura di “Medusa”, comparsa recentemente in un’asta internazionale, confrontabile con il suo gruppo della “Portatrice d’acqua”: entrambe esplorano il gesto, tipico del balletto classico, del braccio portato in avanti.
Nel 1913-1920, una nuova monumentale facciata in stile neobarocco sostituisce, su disegno dell’architetto Lamberto Cusani, quella più antica del Santuario della Beata Vergine del Rosario presso Fontanellato (Parma), affiancata da un nuovo orfanotrofio, inaugurato nel 1925 e, nello stesso anno, viene sistemata davanti alla facciata una statua bronzea del cardinale Alessandro Ferrari, opera dello scultore Amleto Cataldi.
Nel 1923, Amleto Cataldi partecipa all’Esposizione ufficiale di Arte italiana a Buenos Aires incontrando immediatamente un acquirente per due delle tre opere esposte ed, in quella occasione, entra in contatto con il facoltoso Luigi Podestà che acquista un marmo per la propria tomba nel Cimitero del Buceo, presso Montevideo, capitale dell’Uruguay.
Luigi Podestà, nato in provincia di Genova nel 1937 e trasferitosi a Montevideo, diviene un attivo imprenditore alimentare; il monumento che lo celebra nel Buceo è l’unica opera che lo scultore Amleto Cataldi invia nella capitale dell’Uruguay.
Cataldi modella una Flora, stante su un semplice basamento, abbigliata all’antica e con una corona in mano: la figura rimanda alla rinascita dopo la morte, ma è sicuramente più laica rispetto a iconografie di maggior diffusione cimiteriale; la sobrietà delle linee e il tratto incisivo con cui sono scandite le ciocche, fa ipotizzare una datazione attorno al 1925, nella piena maturità dell’artista.
Oltre alla “Portatrice d’acqua” del 1911, nella Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, sono da segnalare, a San Severo, il Monumento ai Caduti e la Cappella funebre della famiglia Fraccacreta e, a Foggia, il Monumento ai Caduti del 1928 e l’”Arciere”, del 1920 circa, nel Museo civico.
Nel 1920, a Venezia, Amleto Cataldi espose “un piccolo bronzo elastico d’uomo ignudo", intitolato “La freccia” che pare sia la stessa opera o una sua replica di “L’Arciere”, citato per la prima volta nel 1931, fra le opere del Museo civico di Foggia. Il Municipio di Parigi, nell’esposizione del 1923, acquistò un “Arciere” di Amleto Cataldi “per il Petit Palais, uno dei più importanti musei di scultura del mondo. Nel 1925 si poteva già ammirare un “Arciere” di Amleto Cataldi nel palazzo della Banca d’italia a Roma.
L’”Arciere”, attualmente nel museo civico di Foggia, pare che sia stato donato dall’autore negli anni 1925-1928, quando egli realizzò il Monumento ai Caduti, solennemente inaugurato il 4 giugno 1928, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, nell’attuale Piazza Umberto Giordano, successivamente trasferito nel Piazzale Italia, già Parco della Rimembranza, il 22 novembre 1959.
In seguito al primo conflitto mondiale, molti paesi belligeranti furono presi dalla smania monumentale di simbolizzare artisticamente il dolore ed il lutto: in particolare, in Italia ed in Germania, queste manifestazioni ebbero un vasto rilievo e compresero non solo l’erezione di monumenti ma anche la dedicazione di luoghi, come giardini e boschi, alla memoria dei Caduti.
In Italia, sin dal 1919, si cominciò a parlare della necessità di costruire monumenti ai Caduti, ma le prime norme sui “giardini della memoria”, ovvero i parchi della Rimembranza, nei quali ogni albero sarebbe stato dedicato ad un caduto e curato da uno o più alunni meritevoli, furono emanate tra il 1922 e il 1923.
Per Amleto Cataldi: ”scopo di un monumento è sempre quello di glorificare un grande fatto della storia o della fede e dare una espressione plastica, la quale che essere ammonimento quotidiano ello spirito, sia anche riposo e ricreazione visiva nell’armonia e nella bellezza. Elevazione, quindi, non solo del ricordo e della fede, ma anche del senso estetico che è vita e forza di un popolo. Questo monumento ai Caduti, (attualmente in piazzale Italia a Foggia) arriva nel momento culminante della mia maturazione artistica. Voglio sopra tutto glorificare i grandi Caduti, ma intendo combattere anche una grande battaglia artistica. Ricorro alle più pure fonti dello stile per cercare di rimettere sulla retta via una statuaria, intendo quella per i Caduti della Patria, che minaccia di deviare verso il popolaresco, il teatrale e spesso verso il banale, mentre dovrebbe essere la manifestazione più eletta della lirica e del dramma…”.
A Grottaferrata, nel 1925, in piazza Cavour viene collocato il monumento ai Caduti, opera dello scultore Amleto Cataldi, finanziata dal marchese Antonio Dusmet.
Nel 1926, a Lanciano, in Piazza del Plebiscito viene spostata la fontana monumentale realizzata su progetto dell’Arch. Sargiacomo, inaugurata nel 1904 con l’arrivo del nuovo acquedotto cittadino, che viene trasferita nella villa comunale delle Rose e sostituita con il monumento realizzato dallo scultore Amleto Cataldi per ricordare le vittime della prima guerra mondiale.
In Roma, vi è il Monumento agli Studenti caduti per la Patria di Amleto Cataldi, situato nella Città universitaria, a lato della Facoltà di Scienze geologiche.
Il 6 novembre 1927, in occasione del restauro della chiesa di San Francesco a Capranica, e dell’inaugurazione della cappella ai Caduti furono riportati sulle epigrafi, disposte a corona del bassorilievo di Amleto Cataldi, raffigurante l’Italia che brucia incenso per i suoi figli, i nomi dei soldati che persero la loro vita.
Del 1929 è il monumento a Luigi Zanazzo, scrittore, poeta e studioso della cultura popolare romana: l’opera è stata apposta all’inizio di via dei Delfini, a fianco della chiesa di Santa Caterina dei Funari, sulla parete della casa in cui era nato il 31 gennaio 1860.
Nel marzo del 1929, fu affidato ad Amleto Cataldi l’incarico di realizzare nel quartiere Nomentano di Roma, tra via Carlo Fea e il viale XXI Aprile, il Monumento ai finanzieri caduti per la Patria durante la Prima Guerra mondiale, realizzato in blocchi di peperino di Viterbo ed ornato da statue di bronzo.
L’8 dicembre 1930, in Largo XXI Aprile a Roma, fu inaugurato il monumento ai Caduti delle Fiamme gialle: la cerimonia iniziò alle ore 10, con l’arrivo del Re Vittorio Emanuele III, al quale era intitolata l’attuale caserma Piave, dove la cerimonia proseguì e si concluse con l’inaugurazione delle lapidi riportanti i nomi di 2000 caduti .
Amleto Cataldi, ideatore e realizzatore dell’opera, creò una struttura cilindrica formata da blocchi di peperino di Viterbo: il basamento ha un diametro di dieci metri e supporta una struttura più snella che raggiunge, rispetto al suolo, una altezza di venticinque metri: a metà altezza del basamento, dentro quattro scudi incavati, vediamo riprodotta la testa del finanziere “combattente”.
Poggiate sullo zoccolo creato dal basamento, il Cataldi collocò quattro statue di bronzo alte cinque metri, ognuna dedicata a un particolare finanziere: il “Combattente”, l’”Alpino”, la “Sentinella-vedetta” e il “Soldato”; il monumento è coronato da una statua di bronzo, raffigurante la dea Roma, con l’asta, l’elmo, e il globo nella mano sinistra.
Il monumento ai Caduti delle Fiamme gialle fu l’ultima opera di Amleto Cataldi che scomparve il 1 settembre 1930, a soli quarantasette anni, pochi giorni prima della inaugurazione.
A Roma, il Cataldi realizzò, oltre all“l’Anfora” del 1912 ed il busto di ”Giosuè Carducci”, presso i Musei capitolini, anche gli “Atleti”, quattro gruppi in bronzo raffiguranti gli sports considerati fondamentali nel 1927: la boxe, il calcio, la lotta e la corsa.
Gli “Atleti” furono posti nel 1930 sulla facciata dello Stadio Torino in via Flaminia; nel 1958, quando la struttura fu demolita, per costruire il nuovo Stadio flaminio, su progetto dell’Arch.Ing. Pierluigi Nervi, in occasione delle Olimpiadi del 1960, delle statue si persero le tracce: a cercarle furono, tre anni dopo, i residenti del Villaggio olimpico capeggiati dal giornalista Giulio Tirincanti.
Finite le Olimpiadi per le quali il villaggio era stato costruito, il quartiere fu privato dell’unico ornamento: una copia della Lupa capitolina; riunitisi in quello che essi stessi definirono un “comitato di salute pubblica”, i residenti chiesero al Coni e al Comune la restituzione dell’opera che si rivelò però essere stata affittata solo per la durata delle competizioni.
I residenti chiesero, allora, uno dei manufatti conservati nei magazzini comunali; dopo una lunga ed infruttuosa ricerca, Giulio Tirincanti suggerì la consegna delle quattro statue dell’ex stadio.
La proposta fu accettata, a patto, di trovarle: dopo alcuni mesi, furono rinvenute, spezzate in più punti, in diversi magazzini, sotto immensi cumuli di detriti e d’immondizia: i demolitori del vecchio stadio, ignoranti e del tutto irrispettosi delle cose dell’arte, invece di imbragare con cura i quattro gruppi e calarli a terra con mezzi adeguati, si erano limitati a legarli con delle funi che, tirate da camion, li avevano fatti precipitare dall’altezza di ben quattordici metri.
La incuria sembra essere la malattia che affligge le statue del Villaggio olimpico, sin dalla loro creazione, e ad essa si è aggiunto il cancro del bronzo, un’acuta forma di corrosione difficile da arrestare: occorre intervenire d’urgenza perchè la corrosione continua anche dopo aver eliminato gli agenti che l’hanno causata.
Un’anonimo critico, sul “Giornale d’Italia”del 12 settembre 1930, a pochi giorni dalla sua morte, mette in rilievo la condotta, pendolare ed incostante, definendola quella di un “eclettico”: il Cataldi alternava, infatti, senza apparente ordine cronologico e comunque senza evoluzione, due distinte tecniche figurative: una fredda e classicheggiante, l’altra romantico-liberty.
Indubbiamente, la figura femminile presso la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma richiama la poetica purista del modellato per impercettibili passaggi di piani a superfici vellutate, ma sembra anche tout court, l’ingrandimento di una figurina in biscuit, base di una lampada liberty, perché il bianco marmo prezioso o la bianca pasta vitreo-porcellanata raggiungono entrambi un cromatimo romantico, tanto più suggestivo, quanto più abile è il modellatore".
La stessa notevole ed epidermica sensibilità, il Cataldi mise nei migliori suoi ritratti (per esempio, quello di Costantino Nigra, a palazzo Madama), con la finezza che è costante in quel campo nelle epoche di imitazione artistica.
Freddissimo egli era invece quando aderiva al classico, per esempio nel Monumento della Guardia di finanza a Roma, “Ignorava l’Accademia, con un suo gusto moderno della forma trasmessa dai Greci”, ma oggi sembra che certe sue semplificazioni di superfici, come certe stilizzazioni nei panneggi e nelle capigliature, si aggancino a quell’arte imperiale, che, quando la morte per malattia lo colse, prematura, già dilagava in Italia per esaltare la dittatura.
La sua fama venne annientata inevitabilmente al tramonto degli stanchi modi artistici cui aveva aderito e invano, il critico Piero Scarpa tentò di riesumarla con una piccola mostra postuma in Roma nel 1951. Del pari, molte delle sue opere, anche monumentali, vennero rimosse e non è facile oggi rintracciarne l’ubicazione.
L’anno scorso, con un accorato appello, il prof. Michele Santulli, appassionato cultore d’arte della provincia di Frosinone, si è fatto promotore di un’iniziativa per cercare di riportare in Italia l’opera di Amleto Cataldi, ”una delle grandi voci della scultura italiana del Novecento”: una scultura in bronzo, alta cm.231, un nudo di ragazza, proveniente da una collezione privata del Texas, che sarà venduta presso la casa d’aste Christie’s di New York.

Dal 30 luglio e per la prima volta, la magnifica opera d’arte di Amleto Cataldi, "La Ninfa del Liri", in esposizione presso il palazzo della Provincia di Frosinone.
La Danzatrice” o chiamata audacemente “La Ninfa del Liri” da un giornalista locale è ora in libera esposizione del pubblico ciociaro.
Stiamo parlando della scultura di Amleto Cataldi, grande figlio della Terra di Ciociaria, vissuto a cavallo tra 1800 e 1900, considerato dagli intenditori tra i grandi della scultura europea.
Abbiamo già informato che la scultura è apparsa a New York l’anno scorso dopo essere stata immersa nel verde del giardino di una villa del Texas per settanta-ottantanni.
Per la “Danzatrice” o “Ninfa del Liri” o “Ciociara dei Simbruini”, alta 2,36 m, in bronzo, posò una modella di Anticoli Corrado che più tardi diverrà moglie di Fausto Pirandello, l’artista pittore figlio del grande drammaturgo. Questa sfolgorante fanciulla, dal corpo che la scultura rende e modula alla perfezione, nel 1915 per alcune settimane posò anche per Rodin che si trovava a Roma per realizzare il busto di Papa Benedetto XV.
Il massimo scultore conosceva il corpo scultoreo della modella in quanto qualche anno prima, in una esposizione a Parigi, aveva già espresso il suo parere su questa opera presentata per la prima volta al giudizio della commissione da lui presieduta.
Nella brochure a disposizione dei visitatori tutta la vicenda è ben ricordata.
Ora sia la Presidenza dell’Amministrazione Provinciale e sia l’Assessore alla Cultura con raro entusiasmo si stanno adoperando a far conoscere e a far godere i cittadini della provincia di Frosinone mettendo in esposizione la magnifica opera d’arte nell’atrio del Palazzo della Provincia, aperto a tutti.